All’indomani del Congresso del PPE a Dublino, si fa strada la richiesta di una Casa popolare unitaria in grado di aggregare e accogliere le famiglie politiche moderate e conservatrici. Protagonisti di un progetto alternativo a quello incarnato dal Partito democratico di Matteo Renzi, entrato con abilità e spregiudicatezza nel PSE, sono in teoria i Popolari per l’Italia di Mario Mauro, l’Unione di Centro di Pierferdinando Casini e il Nuovo Centro-destra di Angelino Alfano.
Tuttavia le affinità culturali e progettuali che legano le tre formazioni non si sono tradotte in unità di azione. Prevalgono tuttora incertezze, rivalità, divisioni. E il rischio di trovare nella scheda elettorale europea una pletora di simboli anziché una lista unitaria popolare è molto elevato.
Ecco l’opinione di Sergio Pizzolante, vice-presidente del Nuovo Centrodestra a Montecitorio e parlamentare di storia socialista e craxiana.
A che punto è il cantiere della Casa popolare di centrodestra?
Ci troviamo purtroppo in una fase preliminare. Il cantiere non è stato neppure aperto. Ma è assolutamente necessario avviare un percorso che rappresenterà uno snodo fondamentale per costruire un nuovo centro-destra popolare, liberale, riformista. Una forza in grado di prendere in mano il testimone di una trasformazione liberale e riformista dell’Italia. E di andare oltre i fallimenti dei vent’anni dominati da Silvio Berlusconi.
I Popolari per l’Italia però hanno stipulato un patto con le forze liberali dell’ALDE.
Noi non possiamo realizzare un’operazione dal sapore centrista. Mario Mauro deve decidersi, perché non vi è spazio per un’iniziativa analoga a quella promossa da Mario Monti nel 2013. Il nostro progetto è nutrito di un’ambizione diversa e più vasta, su cui ragionare con i Popolari per l’Italia, l’UDC, la destra rinata a Fiuggi, parti di Forza Italia che vivono con disagio la gestione neo-monarchica del partito.
È tramontata l’idea di una lista unica del PPE italiano alle Europee?
È tutto da valutare. Siamo in tempo per compiere uno sforzo di fantasia e coraggio. E promuovere con il voto europeo un primo nucleo del progetto di centro-destra alternativo a Forza Italia. Berlusconi e FI erano venuti al mondo per riempire il vuoto lasciato dalle forze democratiche e moderate del pentapartito. Per ridurre le tasse, capovolgere il rapporto tra cittadini e Stato, riformare il pianeta giustizia. Guardi i risultati: il vuoto politico è stato creato, il peso del fisco è il più alto di sempre, la burocrazia è più invadente che mai, i magistrati godono di uno strapotere intoccabile. Tocca a noi realizzare la rivoluzione liberale tradita.
Siete certi di superare l’asticella del 4 per cento?
Sì. Perché i sondaggi ci danno abbondantemente sopra tale soglia. E perché al Nuovo Centro-destra hanno aderito 63 parlamentari, un centinaio di consiglieri regionali, migliaia di amministratori locali. Senza dimenticare che abbiamo creato oltre 10mila circoli con più di 100mila iscritti.
Ma su quali basi progettuali è possibile costruire una rinnovata Casa delle libertà?
Sinceramente non le vedo. Constato come Forza Italia abbia subito una deriva populista ed estremista in chiave anti-europea, con un profilo radicalmente ostile alle politiche di austerità, al Fiscal Compact e alle istituzioni comunitarie che ci porterebbero al disastro. È per questa ragione che ci siamo separati.
Come dovrebbe muoversi il premier sul fronte fiscale?
La ripresa economica può essere riattivata se alleggeriamo le imprese dall’oppressione fiscale, aiutando allo stesso tempo i lavoratori che guadagnano poco e pagano troppe tasse. Non ci deve essere alcun derby tra IRPEF e IRAP. Bisogna partire dal taglio dell’imposta regionale sulle attività produttive: tributo iniquo che si paga anche senza produrre utili, punitivo verso le aziende che assumono. Contemporaneamente è indispensabile ridurre l’IRPEF sul salario accessorio di produttività. Non un’operazione generica, ma un taglio di 10 miliardi mirato e calibrato. In tal modo potremo incoraggiare produzione e consumi.
A proposito di riforme, il suo ex compagno socialista Rino Formica ha osservato che la radicale riforma del Senato è eversiva.
Le parole di Formica costituiscono sempre un punto di riflessione irrinunciabile. Non concordo con l’ipotesi liquidatoria del Senato prospettata da Renzi, che lo ridurrebbe ad assemblea secondaria di sindaci e governatori regionali. Quella sarebbe una proposta eversiva. La priorità è superare il bicameralismo paritario e la doppia lettura delle leggi ordinarie, privando Palazzo Madama del potere fiduciario verso il governo. Il nostro progetto prefigura una Camera delle autonomie con parlamentari eletti in tutto o in parte e con un ruolo di raccordo fra Stato e realtà territoriali.