Ripubblichiamo il commento di Davide Giacalone uscito oggi sul quotidiano Libero diretto da Maurizio Belpietro
L’ipotesi che Silvio Berlusconi potesse candidarsi alle elezioni europee ha aperto delle falle enormi. A sinistra, ma anche a destra. A sinistra perché è sempre penoso supporre di approfittare di un vantaggio a causa di un impedimento dell’avversario, che si possa vincere una gara perché all’altro sia impedito correre.
Fossi un esponente della sinistra direi: che si possa o meno candidare non è oggetto di discussione politica, ma di valutazione giuridica, siccome conto di batterlo nelle urne mi dispiace che sia abbattuto anticipatamente. Hanno detto il contrario, naturalmente. Ma apre falle anche a destra, perché dimenarsi per quella candidatura, considerarla l’arma vincente contro gli avversari, significa non averne altre di credibili. Non solo di candidature, ma di idee. Riconoscersi e riunirsi in un sol uomo può essere segno di leale coesione, ma anche di concorrenza cortigiana o di non essere riconoscibili e riunibili altrimenti. Inequivocabili segni di disfacimento.
Fatte salve tutte le differenze e le peculiarità di ciascuno, la composizione del nuovo gruppo dirigente del Partito democratico, nonché del governo presieduto dal loro segretario, ha una netta impronta berlusconiana: facce nuove, magari professionisti della politica (anche perché non fanno altro), ma non legati a decenni di politicantismo (difatti il coetaneo Enrico Letta appare vecchio), rappresentazione fisica di una rottura con il passato. Altrettanto significativo il ripudio della concertazione, come a dire che ci si dedica agli interessi degli italiani, non delle burocrazie sindacali e partitiche. Uso di concetti e parole che sono stati per tanti anni quasi proibiti (a sinistra, ma anche a destra), che è troppo definire “liberali”, ma certo liberati da zavorre ideologiche. Tutto questo è ragionevole supporre si trasfonda anche nelle liste per le europee, cui il Pd s’approssima con l’irragionevole vantaggio di essere il porta bandiera di un europeismo consapevole. Laddove molti altri si agitano in un indefinito sentimento di rigetto, anti europeista. Inevitabilmente a vantaggio di chi ne sarà più estremista cantore.
Da quel che si legge, invece, sembra che Forza Italia s’appresti a candidare notabili in gara fra di loro, pronti a contendersi le preferenze non avendo neanche l’ambizione di prendere i voti. Cosa che delegano al capo, salvo detestarne le bizze e descriverlo (neanche troppo riservatamente) come prigioniero di pressioni e condizionamenti che si fatica a definire politici (io non ci credo, e fossi in loro mi farei venire il dubbio che non sia l’alibi per farli fuori meglio).
I tratti programmaticamente distintivi di questo caravanserraglio sono confusi, anche perché è stato negoziato un patto di ferro con il capo del governo, cui non si oppongono, ma accompagnano fingendo di vigilare, in realtà chiedendosi come mai non sono al suo fianco. Questo nel mentre un pezzo della destra siede al governo, cercando di dimostrare che è di destra quel che il governo va facendo. Non si sa se rassegnati agnelli sacrificali o consapevoli spianatori dell’ingresso renziano nell’elettorato conservatore.
Perché la parte costantemente maggioritaria degli elettori non ha mai voluto essere governata dalla sinistra, ma chiede che le riforme non siano devastazioni e che la politica sappia rassicurare circa le sorti future. Nessuno chiede miracoli, perché nessuno ci crede, ma neanche tragedie, che molti temono. Come può la destra incarnare queste identità se si presenta con un linguaggio vindice e candidature che incarnano le sconfitte politiche, anche quando accompagnate da vittorie elettorali?
Ho epidermica antipatia per tutti i nuovismi e giovanilismi, ma nessuna passione per le minestre riscaldate. Vedo le opportunità che la sinistra renziana può cogliere, e credo sia nell’interesse di tutti. Ne vedo anche le enormi debolezze, sicché sarebbe bene che una sinistra finalmente non più comunista o post-comunista trovi avversari che non regrediscano essi nella nostalgia e nella minorità identitaria. Le democrazie funzionano quando la concorrenza elettorale si sviluppa sull’elettorato di centro, capace di decidere secondo convenienza e di scegliere fra soggetti intercambiabili. Per decenni è stata la sinistra a essere inadeguata e non giocabile, se non con travestimenti democristiani. Sembra una dannazione che ora sia la destra a farsi gettare ai lati del campo, con giocatori felici d’essere stati convocati, attenti alle proprie prebende, ma incuranti della partita.