È guerra di sanzioni tra Washington e Mosca. Ieri il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato la seconda tranche di ammende contro altre venti persone vicine a Vladimir Putin più una banca. Un provvedimento seguito a strettissimo giro da un’analoga mossa del Cremlino, che ha risposto con forza uguale e contraria colpendo altrettante personalità a stretto contatto col capo della Casa Bianca.
E anche se tra i sanzionati non c’è per il momento Alexei Miller, ad del gigante di estrazione del gas Gazprom, uno dei soggetti economici più esposti nella crisi ucraina, a risentire delle ultime misure prese da Obama potrebbero essere proprio le esportazioni energetiche.
AGIRE SULLE ESPORTAZIONI
Obama – come spiega il New York Times – ha anche aperto la porta a misure più radicali contro parti fondamentali dell’economia russa, comprese le industrie del petrolio e del gas naturale, che rappresentano gran parte delle esportazioni della Russia. Ha detto che le azioni potrebbero disturbare l’economia globale, ma potrebbero essere misure necessarie a causa di ciò che ha descritto come “movimenti minacciosi” da parte dell’esercito russo vicino il confine orientale e meridionale dell’Ucraina. Questo tipo di sanzioni, concordano inoltre gli esperti, potrebbero essere davvero incisive e sarebbe auspicabile che si sommassero a provvedimenti analoghi intrapresi dall’Unione europea.
IL NODO ENERGETICO
L’aspetto energetico, osserva con Formiche.net Matteo Verda, ricercatore dell’Università di Pavia e dell’Ispi, (nonché autore del libro “Una politica a tutto gas”), è uno degli elementi chiave per leggere ciò che accade in Ucraina.
“Siamo di fronte ad un bluff da parte di Kiev, che non potendo pagare le sue bollette arretrate a Gazprom, ha tutto l’interesse ad alzare i toni e a costringere l’Occidente a prendere le sue parti, per poi ripianare i debiti dell’operatore nazionale Naftogaz“.
Verda non intravede a breve il rischio che l’Europa resti “a secco” di gas russo. “Le scorte sono ampie e si va verso l’estate. Ma in ogni caso l’interesse è reciproco. La Russia è il principale fornitore di gas naturale dell’Ue, che nel 2013 ha assorbito circa 130 miliardi di metri cubi“.
A destare preoccupazione è più che altro l’instabilità politica in Ucraina. “Nel 2009 – ricorda Verda – Naftogaz si trovò tanto indebitata da non poter pagare le proprie forniture e cercò di deviare il gas destinato ai clienti europei per fornire il proprio mercato, portando per reazione alla chiusura dei gasdotti dalla Russia“.
Per evitare che questo genere di incidenti si ripeta, Gazprom e i grandi operatori europei hanno iniziato a sviluppare dei gasdotti alternativi – analizza più a fondo Verda sul suo blog, Sicurezza energetica – che non passassero sul territorio ucraino.
SOUTH STREAM IN PERICOLO?
Un piano, questo, che potrebbe però andare per le lunghe, perché se i costi della crisi ucraina per l’economia globale sono ancora potenziali, i suoi riflessi sull’economia europea (analizzati dal think tank belga Bruegel) sembrano essere più prevedibili.
I problemi di Kiev, ha detto ieri il ceo dell’Eni, Paolo Scaroni nel corso di un’audizione alla Camera dei deputati, potrebbero mettere a rischio la realizzazione del gasdotto South Stream, un’opera fondamentale per variare le fonti del nostro approvvigionamento energetico.
“Il South Stream – ha ricordato – è un’iniziativa finalizzata fin dall’origine ad importare in Europa, e non solo in Italia, il gas russo evitando il transito attraverso l’Ucraina. Lo scopo, quindi, non è avere più gas russo ma avere lo stesso quantitativo di gas russo senza passare per l’Ucraina“. Oggi, ha aggiunto Scaroni, “il suo futuro lo vedo piuttosto fosco perché la crisi ucraina metterà in discussione anche le autorizzazioni dell’Unione Europea necessarie a realizzare South Stream“.
Obama annuncia la seconda tranche di sanzioni alla Russia. Il video (New York Times)