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Libia, il dossier dimenticato

Il Paese dove centinaia di piccoli focolai si sono trasformati in insidiosi incendi torna alla ribalta dell’agenda nazionale non solo per le note criticità, come la fuga del primo ministro, quanto anche per il rapimento di un cittadino italiano a Tobruk, in Cirenaica, nella parte orientale della Libia. Si tratta di un tecnico del settore dell’edilizia che soffre di diabete e non ha con sé il suo kit di insulina. E’ il terzo episodio in tre mesi che ha coinvolto italiani, dopo che lo scorso gennaio erano stati rapiti a Motouba, sulla strada tra Derna e Tobruk, altri due italiani, gli operai edili Francesco Scalise e Luciano Gallo. Entrambi sono stati liberati lo scorso 7 febbraio.

DOSSIER LIBICO
Ma ecco che i riflettori accesi sull’italiano rapito “ricordano” alla comunità internazionale che il dossier Libia è tutt’altro che risolto, stretto nella morsa di una instabilità cronica che ha portato lo scorso 3 marzo all’assalto del Parlamento, in cui sono rimasti feriti due deputati mentre cercavano di abbandonare in auto la sede di Tripoli. Una situazione ad altissima tensione che è sfociata ieri in un violento scontro tra gruppi di uomini armati che bloccano i maggiori terminal petroliferi libici e forze di sicurezza nella città orientale di Ajdabiya. Solo l’intervento dei leader tribali ha interrotto le ostilità. Il gruppo di ex rivoluzionari ha attaccato le forze di sicurezza libiche impegnate a liberare tre scali marittimi bloccati dalla fine di luglio del 2013. Uno stop che è condotto dall’Ufficio Politico della Cirenaica, guidato dall’ex rivoluzionario Ibrahim Jadran, che ha dichiarato l’autonomia della regione orientale. Dopo i fatti del 2011 si è messo alla testa delle guardie di sicurezza di alcuni impianti petroliferi.

STRATEGIE
Che il caso libico fosse al contempo strategico per il Mediterraneo (quindi per l’Italia) e delicatissimo da un punto di vista strettamente geopolitico era cosa nota sin dai giorni immediatamente successivi alla caduta di Gheddafi, motivo per cui la Conferenza Internazionale sulla Libia era stata prevista in Italia, a Roma, ma anziché nel mese di dicembre 2013 è slittata a pochi giorni fa. Con l’inconveniente rappresentato dalla crisi in Ucraina, che ha monopolizzato l’attenzione dell’evento, quando invece avrebbe potuto rappresentare l’occasione per far emergere il ruolo italiano nella vicenda, su cui la comunità internazionale scommette non poco. Proprio in questa fase l’Italia è chiamata ad una partecipazione più attiva nella risoluzione del caso libico, particolare che sarà anche al centro del vertice tra Barack Obama e il premier italiano Matteo Renzi.

NAVY SEALS
Una criticità generalizzata che ha avuto il suo picco con la questione della petroliera ribelle circondata dalle navi delle milizie filo-governative, su cui pochi giorni fa il gruppo americano dei Navy Seal è intervenuto con un blitz notturno. Hanno così preso il controllo della petroliera nordcoreana Morning Glory che trasportava greggio acquistato illegalmente dai ribelli della Cirenaica, sfidando il governo centrale. L’operazione è avvenuta al largo delle coste di Cipro, ma al momento non è ancora noto a chi fosse destinato il carico.

FUTURO
Quello che è certo, al netto di scontri ormai quotidiani e sequestri di armi, (come il carico di un aereo russo destinato a militari libici, e rubato mentre era fermo per rifornimento all’aeroporto internazionale di Tripoli), è che il governo libico, presieduto dall’ex ministro della difesa Abdulah al-Thani, ha deciso per un cambio di passo e si è affidato in toto a Washington. E al contempo ha annunciato un’offensiva contro i secessionisti dell’Est. Un altro passaggio non secondario è dato dal fatto che proprio il caos sulle forniture di armi ha allarmato ulteriormente Usa e Ue, con la presenza significativa del segretario di Stato americano John Kerry alla conferenza di Roma nella direzione di sostenere il governo nell’approvvigionamento di armi per rimettere insieme le forze di polizia. Ma a Tripoli le autorità sono ancora molto divise su come trattare con le milizie. Una parte le guarda come ultima speranza per garantire la sicurezza, altri sostengono il loro disarmo come anticamera ad una più diffusa stabilità.



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