Skip to main content

Perché la crisi ucraina non cambierà gli equilibri del mondo

Con l’annessione della Crimea, Putin ha violato un principio centrale dell’ordine mondiale: l’inviolabilità dei confini. Rivendicando il suo diritto di proteggere tutti i russi, anche quelli che vivono in altri Stati, minaccia l’integrità territoriale di altri Paesi. Si è tolta anche la soddisfazione di fare una lezione di moralità all’Occidente, dicendo che è intervenuto per difendere i diritti umani e che il “lavoro sporco” è stato fatto dai gruppi locali d’autodifesa, non dalle forze speciali russe, mascherate con passamontagna e senza insegne. La sua popolarità interna è aumentata enormemente. C’è da sperare che non gli dia alla testa e che decida di risolvere con aggressioni esterne i problemi politici ed economici interni del suo Paese.

LA RISPOSTA DELL’OCCIDENTE
Alla disinvolta strategia di Putin, l’Occidente ha risposto con debolezza e confusione. La prima lista europea di personalità russe da sanzionare comprendeva 21 nomi; quella americana 11; ma solo quattro persone comparivano in entrambe le liste. Le divergenze fra gli Stati Uniti e l’Europa e degli Stati europei fra loro hanno mutato gli equilibri geopolitici in Europa, più di quanto l’abbia fatto l’annessione della Crimea alla Russia. La scarsa consistenza delle sanzioni occidentali non spingeranno la Russia verso Est, cioè ad un’alleanza con la Cina, per la quale dovrebbe pagare un prezzo elevato. Pechino è visceralmente contraria a ogni secessione. Si era opposta a quella dell’Ossezia del Sud e dell’Abkazia. All’ONU, non ha appoggiato Mosca per la Crimea.

LA RINASCITA DELLA NATO
La geopolitica europea si è modificata di fatto. In USA, il vicepresidente Joe Biden parla di riportare il “Pivot” americano in Europa. La NATO non rischia più l’irrilevanza. Nell’UE, la crisi potrebbe portare sia a una maggiore integrazione politica e strategica, sia dividere gli Stati europei fra loro. Dipenderà in gran parte dalla Germania. Gli Stati Baltici e i paesi dell’Intermarum ponto-baltico, riuniti nel “gruppo di Visegrad” (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), a cui si sono unite la Svezia e la Romania, sono fautori di una “linea dura” con Mosca e del rafforzamento dei legami con gli USA (la storia ha insegnato loro di fidarsi poco dell’Europa). Francia e Regno Unito sostengono tale posizione, pur con qualche “distinguo” dovuto ai loro differenti interessi nazionali. Parigi manderà aerei in Polonia, ma ha rimandato a ottobre la decisione di consegnare o no le due navi di assalto anfibio tipo Mistral che sta costruendo per la Marina Russa. Londra cerca di salvaguardare il deposito degli ingenti capitali russi nelle sue banche. La Germania, appoggiata “sottovoce” dall’Italia, propone un compromesso. Sostiene la necessità di negoziati diretti fra Kiev e Mosca per risolvere il loro contenzioso. In Germania, taluni – in particolare l’ex-cancelliere Schroeder, forse desideroso di qualche altro ben retribuito incarico dall’“amico” Putin – sostengono che l’asse franco-tedesco sia stato ormai sostituito, come motore della geopolitica europea, da quello fra la Germania e la Russia. Ufficialmente, Berlino ha scelto una linea di prudenza. Non può “giocarsi” i legami con Washington né, soprattutto, far temere ai suoi vicini dell’Est che si stia profilando una “Nuova Rapallo”, se non addirittura qualcosa di simile al Patto Ribbentrop-Molotov.

LE RESISTENZE ITALIANE
La resistenza di Roma a dure sanzioni è più che giustificata dagli interessi economici nazionali, dalla necessità di non inimicarsi gli USA, ma forse anche dalla convinzione che, mettendo Putin con le spalle al muro, lo si renderebbe più aggressivo. Questa scelta creerà certamente difficoltà alla presidenza italiana dell’UE, nel secondo semestre dell’anno. Non potendosela prendere più di quel tanto con la Germania, da cui sono economicamente dipendenti, i Paesi dell’Europa centrorientale se la prenderanno con l’Italia, handicappata anche dall’alquanto barocca struttura di coordinamento delle politiche europee con cui si presenta a tale appuntamento, che, a parer mio indebitamente gravato da irrealistiche aspettative.

GIOCHI APERTI
Comunque, i “giochi” sono ancora aperti. La situazione potrebbe radicalmente cambiare per nuove iniziative di Putin sia nell’Ucraina sudorientale – fino al Dnieper (non penso che uno stratega accorto come Putin si vada ad impelagare in quella occidentale, fortemente antirussa) – sia nelle altre repubbliche ex-sovietiche, in cui vivono consistenti minoranze russe. Beninteso, Putin non resterà con le mani in mano. La sua relativa debolezza lo obbliga all’offensiva. Quando ha cercato di seguire l’opzione difensiva, come negli accordi del 17 dicembre con Yanukovich, ha fallito. La mobilitazione di una consistente massa di forze russa in prossimità dei confini dell’Ucraina continentale e l’aumento del “turismo armato” delle forze speciali russe, incaricate di stimolare disordini e creare le condizioni per insurrezioni e nuove annessioni, sono carte negoziali del Cremlino nei suoi rapporti con l’Occidente. Potranno piacere a Grillo, tanto sensibile alle preferenze della “gente comune” (manipolata dalla rete con soldi di dubbia provenienza), ma sono strutturalmente pericolose. Putin conosce la storia. Sa che la “strategia del carciofo” può avere un successo solo temporaneo e limitato. Quella hitleriana ha portato la Germania al disastro.
Beninteso, non si sa che cosa Putin abbia intenzione di fare. Certamente, è incoraggiato a prendere nuove iniziative dalla confusione delle reazioni occidentali. Unisce al dilettevole l’utile, dato che l’Occidente si destabilizza da solo e che pagherà a Gazprom i debiti dell’Ucraina. Ma Putin sa che non può tirare la corda oltre un certo punto. L’Occidente reagirebbe poi brutalmente. La Russia non può resistergli. Le sue spoglie finirebbero in mani cinesi.
L’intervento russo in Crimea non è motivato solo da ragioni geopolitiche più che comprensibili.

I PROBLEMI (INTERNI) DI PUTIN
Trova la sua origine nella situazione della politica interna russa. Putin ha sempre maggiore difficoltà a mantenere unite nel Cremlino le contrapposte fazioni dei siloviki e dei civiliki. La crescita economica del 2013 è stata inferiore all’atteso. Sui mercati del gas e del petrolio si preannuncia una sovrapproduzione, che porterà ad una diminuzione dei prezzi e a un duro colpo alla bilancia commerciale e a quella statale russe. Le rendite di posizione di cui gode la Russia e che costituiscono anche efficaci strumenti di pressione sull’Occidente, sono destinate a erodersi. Esse sono molte e importanti: l’utilizzo del territorio russo per il ritiro dell’ISAF dall’Afghanistan; il programma di distruzione delle armi chimiche siriane; il negoziato sul nucleare iraniano; l’impossibilità per l’Europa di far a meno del gas russo. La sua sostituzione con quello liquefatto (LNG) dagli USA richiederà un paio di decenni. Inoltre, esso costerà almeno un terzo più del gas russo, trasportato in Europa da gasdotti. Putin potrebbe poi tentare di attenuare con incentivi economici le preoccupazioni dei paesi dell’Europa centrorientale, con una riedizione dell’“imperialismo commerciale”, tanto frequente nella storia. Tale scelta politica consentirebbe a Mosca di mantenere aperti i legami con la Germania, la cui tecnologia è necessaria per la modernizzazione della sua economia.
Mosca non può permettersi una nuova guerra fredda. Ne è consapevole. Lo dimostra il fatto che l’attuazione degli accordi “Nuovo START” sulle armi nucleari strategiche sta continuando regolarmente. La scorsa settimana un nucleo ispettivo russo è giunto a San Francisco, per effettuare una delle 18 ispezioni di sorpresa previste dal trattato. La prossima settimana si svolgerà in Olanda, con la partecipazione di Obama, un summit sulla sicurezza nucleare. Putin non vi parteciperà. Ma sarà presente il suo ministro degli esteri Sergei Lavrov.

NEGOZIATI DIVERSI
E’ evidente la volontà russa di separare la crisi ucraina dagli altri negoziati e accordi con l’Occidente. Anche quest’ultimo ha interesse a tenere per quanto possibile separate le due cose. L’Europa non è uscita dalla crisi economica. La sua cultura politica si è smilitarizzata. Uno scontro armato della NATO con la Russia comporterebbe quasi inevitabilmente un’escalation nucleare. Le forze convenzionali della NATO sono superiori a quelle russe. Non è un caso che recentemente Mosca abbia riaffermato la validità della dottrina della “de-escalation”, scritta dallo stesso Putin nel 1999 quando era ancora Segretario del Consiglio di Sicurezza russo. Essa prevede una risposta nucleare limitata – verosimilmente solo controforze non contro-risorse, cioè contro-città – qualora la Russia non riuscisse a respingere un attacco convenzionale. La prospettiva di un conflitto nucleare ha certamente raffreddato in Occidenti i – per fortuna pochi -“bollenti spiriti”, che proponevano una risposta militare per “punire” la Russia per l’annessione della Crimea. E’ già lecito esprimere un dubbio sul fatto che un presidente USA avrebbe messo a rischio di distruzione New York per difendere Amburgo. Certamente oggi nessuno vuole morire per l’Ucraina, né avventurarsi in un chicken game con un personaggio da prendere con le molle come Putin.

UN’ANNESSIONE COSTOSA
C’è un altro motivo che fa pensare che Putin non approfitterà della debolezza dell’Occidente e soprattutto degli USA di Obama. Se l’annessione della Crimea sarà costosa (tre miliardi di dollari all’anno), quella dell’intera Ucraina o anche solo delle sue province orientali e meridionali avrebbe un costo proibitivo. Lo avrebbe non solo per la resistenza che incontrerebbero le forze di occupazione. Essa potrebbe impedire l’attuazione dell’enorme piano di riarmo russo, voluto da Putin per mantenere alla Russia il rango di grande potenza mondiale. La metterebbe in condizioni di troppa inferiorità rispetto alla NATO e, soprattutto, alla Cina. La situazione per Mosca sarà aggravata dal ritiro occidentale dall’Afghanistan. La Russia dovrà impegnarsi per la sicurezza dei paesi centrasiatici. A parte i costi dell’occupazione, la Russia dovrà elargire consistenti aiuti alla disastrata economia ucraina. Le miniere di carbone delle province orientali sono in “profondo rosso”, ancora peggio di quelle del Sulcis. Dopo averne preso la responsabilità in nome della solidarietà russa, Mosca dovrebbe sostenerle. Putin rimpiange il collasso dell’URSS. Sa però benissimo che la Russia non può permettersi il costo di un impero. Con il loro potere di attrazione, gli USA attirano il risparmio da tutto il mondo. La Russia no. Anziché sfruttare le sue colonie, come hanno sempre fatto gli imperi seri, le finanzia abbondantemente. Putin teme poi che gli USA potrebbero rifare alla Russia lo “scherzetto” che fecero all’URSS negli anni Ottanta. Allora, la speculazione al ribasso del prezzo del petrolio diede il colpo di grazia all’agonizzante economia sovietica.

NESSUN MUTAMENTO GEOPOLITICO
In definitiva, vi è da ritenere che la crisi ucraina rallenterà nel breve periodo la collaborazione fra l’Occidente e la Russia, ma non determinerà una sostanziale modifica geopolitica a livello mondiale. Non vi sarà più reset fra gli USA e la Russia. Maggiori saranno i mutamenti che avverranno di fatto in Europa. La NATO riprenderà vigore, specie se Obama abbandonerà le sue fantasie sulla collaborazione a tutto campo con la Russia. Forse, ma lo ritengo improbabile, la crisi ucraina stimolerà l’integrazione politica e strategica europea. Non è però escluso che invece la indebolisca, per le differenze esistenti – a seconda della loro collocazione geografica – fra i vari Stati nei rapporti con gli USA da un lato e con la Russia dall’altro, . Aumenterà in ogni caso l’influenza tedesca. Per l’Italia non sembra esservi altra soluzione che salire sul carro della Germania. Una “pace fredda”, come la chiama Panebianco – cioè una realistica, non fondata su utopie – calerà sull’Europa, beninteso se grossi errori verranno evitati e a nessuno verrà in mente di poter strafare. Cadrà comunque ogni “generosa” ipotesi di europeizzazione della Russia. Il Patriarcato Ortodosso di Mosca e gli eurasisti come Alexander Dugin (da leggere i suoi scritti nelle Edizioni Barbarossa!) possono dormire sonni tranquilli. Meno sarà possibile per l’ENI. Molto probabilmente, verrà cancellato il progetto del grandioso gasdotto South Stream. Anziché perdere tempo e denaro per le rinnovabili, l’Italia dovrebbe seriamente pensare a costruire qualche ri-gassificatore per l’LNG. Prima o poi, sarà necessario per non rimanere al buio.


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter