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Ecco le radici cattoliche di Barack Obama

Giovedì 27 marzo Barack Obama sarà in Vaticano per il primo incontro con Papa Francesco. Appuntamento atteso, per vedere fin dove si spingerà il presunto asse tra il primo Pontefice americano (seppur americano del sud) e il Presidente democratico. Il punto di incontro potrebbe essere la questione sociale.

LE RADICI RELIGIOSE DI OBAMA

La base d’incontro, dopotutto, c’è. E risiede nel passato del giovane Barack, quando all’inizio degli anni Ottanta lavorò nelle parrocchie di Chicago in favore dei poveri e della giustizia sociale. E’ quella che, come ricordava Jason Horowitz sulla Sunday Review del New York Times di domenica, era chiamata Campagna cattolica per lo sviluppo umano. Proprio a Chicago ebbe uno sviluppo rilevante, soprattutto in seguito alla drammatica crisi delle acciaierie cittadine. Obama, che cattolico non era (e non è), fu cooptato con lo scopo di estendere il programma dalle parrocchie cattoliche bianche a quelle protestanti nere. Fondamentale, in quegli anni, fu l’opera del cardinale Joseph Bernardin, all’epoca arcivescovo di Chicago e capofila di quel progressismo post-conciliare che si sarebbe esaurito nel corso degli anni Ottanta anche in seguito all’alleanza tra Ronald Reagan e Giovanni Paolo II e che progressivamente portò l’elettorato cattolico a spostarsi in gran parte dal Partito democratico a quello Repubblicano in nome dell’affermazione dei valori non negoziabili. Epoca che fu sommariamente definita come quella delle “culture wars”.

IL LEGAME CON IL CARDINALE BERNARDIN

Bernardin è stato definito da Barack Obama nel suo dicorso alla University of Notre Dame del 2009 “un faro e un crocevia”, capace di “avvicinare le persone e trovare un terreno comune”. Un’esperienza che segnò profondamente il futuro presidente, visto che “le parole e le opere delle persone con le quali ho lavorato nelle parrocchie di Chicago toccarono il mio cuore e la mia mente”. Nel 1997, la svolta. Al posto di Bernardin, a Chicago, arriva Francis George, chiamato dai preti liberal locali – segnala sempre Horowitz – “Francis the Corrector”. Esponente di punta dell’episcopato giovanpaolino conservatore, nel 2008 si sarebbe schierato contro Obama, cercando di contrastarne l’elezione alla Casa Bianca ricordando ai cattolici che non sarebbe stato per loro opportuno votare un candidato che aveva apertamente sostenuto l’aborto. George parlava non solo in veste di arcivescovo di Chicago ma anche come presidente della conferenza episcopale americana (eletto nel 2007, avrebbe lasciato il testimone tre anni più tardi all’altrettanto combattivo Timothy Dolan, arcivescovo di New York).

LA LINEA IN DIFESA DEI PRINCIPI NON NEGOZIABILI

Ma Obama vinse anche il voto cattolico, nonostante l’opposizione dell’episcopato. Più tardi, una volta alla Casa Bianca, avrebbe cercato di evitare lo scontro con i vescovi, invitando anche il cardinale George in Pennsylvania Avenue nel marzo del 2009. Il feeling non scoppiò mai (un po’ come tra Obama e Dolan), e nei riferimenti alla Chiesa cattolica del presidente americano ci sarebbe stato sempre Bernardin piuttosto che George. Due profili, quelli di Bernardin e George, antitetici. Rappresentanti di due visioni della chiesa cattolica agli antipodi. Più attenta ai poveri e alla giustizia sociale quella incarnata dal primo, esponente della lotta per l’affermazione dei princìpi non negoziabili il secondo. E ora il Papa sarà chiamato a compiere la prima e più delicata scelta riguardo la chiesa americana.

LA DELICATA SUCCESSIONE AL CARDINALE GEORGE

Entro qualche mese, Francesco sarà infatti chiamato a scegliere il successore del cardinale Francis George. Ormai settantasettenne e gravemente malato di cancro, il porporato lascerà la guida della diocesi dell’Illinois in breve tempo. Nulla trapela circa il nome che il Pontefice argentino designerà all’ambita sede. Decisivo sarà il profilo: c’è chi è pronto ad assicurare che Bergoglio sceglierà un esponente della linea-Bernardin, più in sintonia con la sua agenda e il suo ideale di Chiesa. Altri, invece, pensano che alla fine non ci saranno grosse sorprese e Francesco opterà per un candidato meno divisivo e più “centrista” rispetto a George e Bernardin. Un po’ come hanno fatto i vescovi d’America eleggendo, lo scorso novembre, mons. Joseph Kurtz alla presidenza della conferenza episcopale. Uomo saldo in dottrina, ma dal profilo più smussato rispetto alla linea dei conservatori muscolari à la Dolan.


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