Europeisti senza se e senza ma. Perché solo con un robusto ancoraggio all’Ue è pensabile una riforma liberale della politica italiana. È con questo profilo che “Scelta Civica per l’Europa”, la lista creata dal partito fondato da Mario Monti, aspira a conquistare e interpretare l’opinione pubblica liberale, democratica e riformatrice nel voto di fine maggio per l’Assemblea di Strasburgo.
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LA RISPOSTA AL TRIO BOLDRIN-TABACCI-MUSCARDINI
L’iniziativa, presentata nella Sala stampa di Montecitorio, costituisce il punto di approdo di una rivolta contro il progetto messo in piedi da Fermare il declino, Centro democratico e Conservatori sociali con il beneplacito di Guy Verohfstadt, ex premier belga e candidato dell’ALDE alla presidenza della Commissione UE. Un patto ritenuto eterogeneo e contraddittorio da gran parte del mondo liberale a partire da SC, che ha promosso una nuova alleanza aperta a tutte le formazioni culturalmente affini.
L’ADESIONE DEGLI EX FARE DI ALI
Un’adesione entusiasta giunge dall’Alleanza liberal-democratica coordinata da Silvia Enrico e fondata tra gli altri da Oscar Giannino, Alessandro De Nicola e Alberto Pera. La convinzione dei responsabili di ALI è che il progetto rappresenti il primo passo per una svolta nel segno di libertà e creatività individuale, merito, diritti della persona, iniziativa privata, crescita economica e sociale. Un’iniziativa, spiegano il polemica con i “fratelli-nemici” dell’ALDE, caratterizzata dalla chiarezza di programma che le coalizioni di forze eterogenee faticano a esprimere.
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LA DEFEZIONE DEL PLI
Clamorosa, invece, è l’assenza del Partito liberale italiano, provocata dal dissenso espresso dal segretario Stefano De Luca per la mancanza dello stemma del PLI dal simbolo di “Scelta Civica per l’Europa”. Nella variegata e turbolenta costellazione frutto della diaspora del glorioso partito risorgimentale restano in attesa la Federazione dei Liberali di Raffaello Morelli e i Liberali presieduti da Edoardo Croci e con al vertice anche Renato Altissimo, già leader del PLI negli anni Ottanta e Novanta. Mentre aderiscono con slancio l’ex senatore liberale Enzo Palumbo e il movimento “Noi siamo l’Italia”, concepito dal giornalista Marcel Vulpis e guidato dal presidente della provincia di Matera Franco Stella.
LE CONTRADDIZIONI DI ALDE ED SC
La scommessa del vasto cartello elettorale di 13 sigle, promosso dall’ex premier belga e presentato solennemente nella Sala stampa estera il 4 marzo, è andata così in frantumi. Rivolgimenti e conflitti non accennano a placarsi. Ma a rendere complicato e imperscrutabile un panorama già frastagliato è un paradosso. Perché la lista promossa da Scelta Civica, al pari dell’alleanza tra Fermare il declino di Michele Boldrin e il Centro democratico di Bruno Tabacci, appoggia la corsa di Verohfstadt alla guida dell’esecutivo comunitario e si pone nell’orizzonte dell’ALDE. Ritenuto più persuasivo, innovativo e adeguato al progetto europeo rispetto al Partito popolare e al Partito socialista.
LE PRIORITA’ DI SCELTA CIVICA EUROPEA
L’interlocutore privilegiato di un’iniziativa che il 12 aprile a Milano presenterà “con alcune sorprese” i propri candidati all’Assemblea di Strasburgo è indicato dal segretario di SC Stefania Giannini: “Sono i ragazzi di 20 anni, che dall’Europa aspettano futuro, crescita, sviluppo, lavoro e non solo austerità”. La battaglia per imprimere una spinta al percorso di integrazione comunitaria sarà però durissima.
Per la prima volta, spiega il presidente di Scelta Civica del gruppo di Montecitorio Andrea Romano, il voto europeo vedrà una battaglia decisiva tra chi vuole abbandonare l’UE e chi reputa necessario un maggiore ruolo dell’Unione da ogni punto di vista. Aderire a una prospettiva pienamente europeista “senza incertezze” vuol dire per lo storico liberare l’Italia dal peso opprimente del debito pubblico tramite le riforme strutturali nel lavoro e le liberalizzazioni dell’economia. Requisiti imprescindibili per ridurre la pressione fiscale e attrarre gli investimenti produttivi stranieri.
SALVARE O NO L’AUSTERITA’?
Ma è realizzabile una “rivoluzione liberale” in grado di promuovere la ripresa e risanare i conti pubblici restando prigionieri dei parametri di stabilità europei? È questo il punto cruciale e più controverso nel programma elettorale presentato da Scelta Civica. Nel quale è possibile leggere che le politiche di austerità non costituiscono una religione inviolabile e anzi si sono rivelate “dolorose e inefficaci”. Criticando il limite stringente di vent’anni entro cui il Fiscal Compact prevede il rientro del rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo al 60 per cento, il documento propone di allungarne i tempi per la persistente recessione economica.
Una visione laica e pragmatica, nello spirito liberale anglo-americano rispetto all’atteggiamento ortodosso incarnato dagli esponenti di governo dell’ALDE a partire dal Commissario UE per gli Affari economici Olli Rehn, numero due nel ticket elettorale liberale. Ma la previsione di una ragionevole flessibilità nell’applicare il rapporto del 3 per cento, o l’ipotesi di un suo sforamento per favorire una politica espansiva in termini di riduzione delle tasse e di investimenti pubblici sui settori più innovativi, viene contraddetta. Il parametro di bilancio, rimarca Romano, deve essere rispettato poiché è stato firmato dalle istituzioni italiane e i patti bisogna mantenerli.
(LE BOZZE DEL DOCUMENTO PROGRAMMATICO DI SCELTA CIVICA PER L’EUROPA)
TETTI EUROPEI DA RISPETTARE
È impensabile dunque ogni superamento del rapporto che venne consentito a Germania e Francia nel 2003-2004 per accompagnare una profondo rinnovamento dell’economia, del mercato del lavoro, degli ammortizzatori sociali. La strada da perseguire per Scelta Civica è “lavorare sul denominatore, per far crescere il PIL grazie alle riforme strutturali”. Al di fuori dell’Ue, ribadisce il parlamentare, l’Italia resterebbe prigioniera del debito e delle tasse, oltre che più vulnerabili verso la crisi.
ORIZZONTE FEDERALISTA?
La cornice del progetto liberal-democratico è prefigurata dal presidente di Scelta Civica a Palazzo Madama Gianluca Susta, nominato coordinatore della campagna elettorale europea: “Rispetto a chi invoca un’altra Europa riteniamo che l’attuale UE sia una grande incompiuta sul piano politico-istituzionale, economico-fiscale e bancario”. L’aspirazione è un’unione federale imperniata sulla centralità del Parlamento e della Commissione, sull’aumento delle risorse e degli investimenti comunitari nell’economia continentale: orizzonte più avanzato del puro coordinamento intergovernativo.
Per sconfiggere il tarlo nazionalista, gli “europeisti senza se e senza ma, non retorici né superficiali”, sognano una nuova Convenzione giudicando il Trattato di Lisbona del 2009 timido e inadeguato verso l’integrazione di 28 Stati membri e di 500 milioni di persone. Perché soltanto con un’autentica unificazione, precisa il senatore, sarà possibile un efficace utilizzo dei fondi strutturali, un’efficiente politica agricola e alimentare comune, una lotta effettiva contro l’odiosa tassa sui poveri che ha il nome di inflazione.
La prospettiva trova riscontro nel documento programmatico curato da Pietro Ichino e reso pubblico da Scelta Civica: costruire entro il 2025 gli Stati Uniti d’Europa prefigurati nel Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli. È l’Unione federale e liberale, impegnata a coltivare e rinnovare la cultura del Vecchio Continente, costituire uno spazio ampio di libertà fondamentali e diritti civili, di mercato e concorrenza, di Stato di diritto e primato della legge. Ma nessuna spiegazione viene fornita sul terreno politico-istituzionale. Nessun cenno al modello e all’esperienza statunitensi, cui guardavano gli artefici del Manifesto di Ventotene. È forse questa la sfida che attende il “federalismo effettivo e non retorico” promesso dai parlamentari legati a Monti.
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