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Sfide e ambizioni di Al-Sisi, fresco candidato alle presidenziali egiziane

Ha guidato con pugno di ferro l’operazione militare che ha portato alla deposizione, lo scorso luglio, del presidente democraticamente eletto Mohamed Morsi. Ma è appena discreto il suo consenso tra la popolazione sostanzialmente spaccata, che se da un lato ha sostenuto la decisione delle forze armate di rimuovere Morsi, dall’altro ha riacceso però la feroce opposizione dei Fratelli musulmani.

DISCESA IN CAMPO
Abdel Fattah al-Sisi non è stato solo ministro della Difesa ma quel generale che ha spodestato il primo leader liberamente eletto dell’Egitto. Ieri il generale ha ufficialmente dichiarato la sua candidatura per le elezioni presidenziali che si aspetta di vincere facilmente. Ma i rischi sono numerosi al pari dei punti domanda che attengono il suo indice di gradimento tra i cittadini comuni. La sua parabola ha preso avvio lo scorso mese di luglio, quando ha definito la sua figura come la più influente in un’amministrazione dichiaratamente provvisoria. “Sono qui in umiltà a dichiarare la mia intenzione di correre per la presidenza della Repubblica araba d’Egitto”, ha detto Sisi in un discorso televisivo alla nazione. “Solo il vostro sostegno mi concederà questo grande onore”.

PERCHE’ SI’
Una sua eventuale vittoria significherebbe il ritorno dell’Egitto ad una guida spiccatamente militare, un modello che l’esperienza (alquanto breve) di Morsi aveva interrotto nel 2012, a seguito della vittoria in occasione delle prime elezioni presidenziali democratiche in Egitto. Abitualmente indossa la divisa militare, particolare che gli ha fatto guadagnare la simpatia dei suoi sostenitori storici, che lo dipingono come l’uomo forte utile a ristabilire l’ordine in un Paese che dalle rivolte di piazza Tahir in poi ha faticato a trovare stabilità, politica e sociale. A suo favore il ragionamento che, a quelle latitudini, occorre innanzitutto una presenza forte e autorevole. Ma è anche la certificazione del declino, politico e valoriale, delle primavere arabe.

PERCHE’NO
Tra i contro alla sua candidatura ecco l’opposizione islamista che si è apertamente schierata a suo sfavore in quanto lo definisce come l’esecutore di un colpo di stato contro un leader liberamente eletto, ovvero Morsi. A cui il generale replica con il ragionamento che lo ha contraddistinto dal primo momento in cui è salito agli onori della cronaca: combatterà quella minaccia che prende il nome di terrorismo, senza evitare di perseguire gli autori degli attacchi -frequentissimi- che ormai si consumano nel Paese. Il suo posto come capo dell’esercito è stato preso dal generale Sedki Sobhi, già capo di stato maggiore, ma al di là di poltrone e caselle al Paese segnato da una povertà galoppante occorre una strategia di insieme per uscire dall’impasse politico e rimediare alla caduta economica, che proprio a causa degli scontri ha visto contrarsi gli indici legati alla vera industria nazionale: il turismo sul mar Rosso. Mentre si inizia a capire quali saranno le future alleanze.

COMUNICAZIONE
La domanda che spopola tra gli analisti internazionali è come riuscirà il generale dal pugno duro, il 59enne che ha sostituito l’unico politico eletto democraticamente nella storia egiziana, a catturare attenzioni e consensi dei cittadini in preda della disperazione, di coloro che hanno perso amici e familiari in scontri e disordini: secondo le stime fornite da Amnesty International almeno 1400 vittime. Una prima mossa è stata quella di puntare sulla comunicazione, con nelle ore immediatamente antecedenti al suo discorso alla nazione, una serie di spot televisivi che ritraevano Sisi mentre faceva jogging assieme alle sue truppe: sarà sufficiente a convincere i nove milioni di disoccupati in Egitto? Al momento l’unico avversario ufficiale è l’esponente di sinistra Hamdeen Sabahi, giunto terzo nelle elezioni del 2012.

MANCATO EQUILIBRIO
Ma cosa è cambiato rispetto a un triennio fa quando il leader di un tempo, Mubarak, era prossimo alla deposizione? Secondo il professor Stéphane Lacroix, docente a Sciences Po di Parigi e specialista del mondo arabo, se da un lato l’apparato di sicurezza è stato restaurato, ex funzionari presenti negli anni di Mubarak hanno ripreso le loro funzioni. Ciò potrebbe significare, come ha detto in una lunga intervista al quotidiano francese Liberation, “un ritorno al punto di partenza”. E aggiunge che la situazione attuale è peggiore ripeto a trentasei mesi fa, in quanto sotto Mubarak esisteva una sorta di equilibrio tra la polizia, l’esercito e l’élite politica. Oggi, invece, “l’opposizione dei Fratelli Musulmani ha riconciliato l’esercito e la polizia che però non ha le mani troppo libere”. Potrebbe quindi, il generale, vincere nelle urne ma non nella quotidiana gestione del Paese.

twitter@FDepalo


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