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Ecco come Confindustria non vuole mandare in fumo le sigarette elettroniche

Le nuove tasse sulle sigarette elettroniche sono un rischio per il settore del fumo 2.0? Secondo uno studio dell’Università Luiss, sì. Punto di partenza il dibattito avviato dei mesi scorsi che ha prodotto il primo stop: è già un deterrente preciso, con più di trenta milioni di euro di mancati ricavi. A cui va sommato il debito fiscale totale di quasi quaranta milioni che grava sulle spalle dei produttori. Numeri significativi, ai quali vanno aggiunti quelli del fatturato globale di ventisei milioni di euro e a cui fanno da contraltare le opzioni relative al carico imponibile. Con l’intera Confindustria che attende con ansia la decisione domani del Tar del Lazio e soprattutto che contesta la manovra anti e-cig che è stata messa in atto.

TASSE

Una prima ipotesi prevede che le aziende scelgano di traslare una parte del carico impositivo. Fino a ieri invece era solo l’Iva al 22% a gravare sui loro bilanci, oggi invece si registra anche l’imposta sul consumo che è del 58,5% del prezzo di listino. Uno scenario a seguito del quale i margini di guadagno dei produttori diverrebbero inesistenti, e senza avere i volumi di mercato delle sigarette, ma anzi andando incontro ad una contrazione del mercato che aggraverebbe la situazione complessiva. La seconda ipotesi contempla che se l’imposizione fosse dilazionata esattamente a metà tra aziende e consumatori, si registrerebbe una contrazione del mercato addirittura dell’82%. Ragion per cui, è la conclusione dello studio commissionato alla Luiss, al fine di mantenere i vecchi margini esistenti tra produttori e distributori, si calcola che il prezzo di vendita del prodotto dovrebbe essere maggiorato del 250%. Chiaro come con numeri simili si andrebbe incontro all’estinzione inevitabile del settore, dal momento che già sono seicentomila i cittadini che lo scorso anno hanno scelto di introdurre nelle proprie abitudini la sigaretta elettronica in affiancamento a quella tradizionale.Estinzione però tutta italiana, visto che i consumatori continuerebbero ad acquistare dall’estero via web, senza alcun controllo e – principalmente – senza alcuna accisa.

MANNAIA TAR
Se il Tar non sospenderà la norma o il governo non interverrà immediatamente, entro giugno l’intero settore sarà morto. Questo l’appello lanciato dell’Anafe, l’associazione nazionale fumo elettronico che aderisce a Confindustria, e che ingloba la quasi totalità delle aziende del settore. La mannaia del Tar è data dal fatto che dallo scorso gennaio, da quando cioè è operativo il nuovo regime fiscale sulle e-cig, l’intero comparto rischia la paralisi. A ciò si aggiunga il decreto ministeriale retroattivo che ha avuto l’effetto di riporre le bocce al punto di partenza. Ad oggi – secondo Anafe – quasi mille sono i punti vendita che hanno abbassato la saracinesca, su 3500 del totale nazionale, il che comprende anche il 10% dei dipendenti già licenziati. In attesa della decisione di domani della II sezionedel Tar del Lazio, su cui i produttori si auspicano una sospensiva “definitiva” del decreto ministeriale oltre all’invio del dossier alla Corte costituzionale, l’Anafe prosegue nella sua battaglia:giudiziaria, politica e anche online, col l’hashtag #sVapevatelo in testa alle classifiche Twitter da giorni.

ANAFE
L’associazione confindustriale, presieduta da Massimo Mancini, è nata nel 2012 per le aziende operanti nella produzione e distribuzione di sigarette elettroniche e di aromi. Il nostro Paese è il principale paese europeo produttore. L’Anafe, dal momento che il fenomeno del fumo elettronico non ha più i contorni della nicchia, intende razionalizzare questo comparto che ha già nei fatti dato vita ad una micro imprenditoria. Ragion per cui chiede il rispetto dell’intera filiera individuando un quadro legislativo equilibrato, “in cui vengono salvaguardati gli interessi di migliaia di lavoratori ed imprenditori presenti sul mercato”.

UN DANNO ALL’ERARIO
L’equazione più tasse sulle e-cig uguale meno entrate per lo Stato è stata proposta anche da uno studio del CASMEF, Centro Arcelli per gli Studi Monetari e Finanziari della LUISS Guido Carli, secondo cui ogni aumento della pressione fiscale sui tabacchi avrebbe come conseguenza una riduzione delle entrate per lo Stato. Lo studio osserva che ogni aumento di prezzo applicato negli ultimi anni causa una netta riduzione delle quantità vendute. Con una diminuzione del gettito erariale. Secondo Serena Sileoni, vicedirettore generale dell’Istituto Bruno Leoni, la nuova tassa presenta molti profili problematici sui quali il Governo, si auspica possa intervenire eliminandola o modificandola. Già alcuni mesi fa da queste colonne invitava a ragionare sul fatto che l’accisa sui tabacchi, che il decreto legge estende alle sigarette elettroniche, “è una cd. tassa pigouviana, giustificata dall’esigenza di contribuire a coprire i costi sociali dovuti al danno provocato dal fumo”. Ma le e-cig non sono come le sigarette tradizionali, dal momento che di simile presentano solo la gestualità e la forma. E aggiungeva che “quello che il legislatore sta tassando non è soltanto il liquido, ma tutto il dispositivo meccanico e strumentale, che non ha ovviamente nulla a che vedere col tabacco ma assomiglia piuttosto alle macchine da fumo nei teatri, e gli aromi di più vario tipo, che sono invece analoghi ai profumi”.

APPELLO
Secondo l’Anafe, qualora il trend anti e-cig dovesse proseguire, “le aziende si sposteranno all’estero; i negozi chiuderanno; le persone andranno a casa; la vendita sarà online dall’estero e lo Stato non incasserà un euro”. E mentre fino a ieri si immaginava di incassare ben 117 milioni grazie all’aumento dell’imposta nel solo 2014, lo scenario potrebbe invece essere desolante, visto che ad oggi lo stato ha incassato zero euro. Un altro esempio di come il provvedimento anti sigarette elettroniche è visto come una battaglia ideologica, sta nel fatto che la cosiddetta mega tassa del 58,5% si applicherebbe anche agli accessori, come i vaporizzatori, i caricabatterie, le batterie, i cavi Usb. Passaggio che starebbe facendo propendere i produttori per un ricorso alla Corte di giustizia europea.


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