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Bce, ecco i veri bersagli del bazooka di Draghi

Draghi, Bce, vigilanza

Per il presidente della Bce Mario Draghi, nel Vecchio Continente la “recessione è finita“, anche se continuano a preoccupare l’alto livello di disoccupazione e le dimensioni elefantiache di molti debiti sovrani.
Francoforte si interroga dunque sugli interventi più immediati per supportare l’economia reale.

SOLO IN CASO DI DEFLAZIONE
Le indiscrezioni dei giorni scorsi, ricorda oggi un report di Mps Market Strategy, vorrebbero l’attuazione di un piano di stimolo monetario fino a mille miliardi di euro da parte della Bce.
Sul tema sono però intervenuti numerosi esponenti dell’istituto centrale, che pur confermando l’apertura verso l’ipotesi di manovre “non convenzionali” (come il quantitative easing, per l’appunto), non ne ritengono necessaria un’implementazione immediata in assenza di rischi deflattivi palesi.

OPINIONI DIFFERENTI
La verità è che anche a Francoforte non c’è una visione univoca della ricetta che la banca centrale dovrebbe adottare per tirarsi fuori dalla crisi. Il vice presidente della Bce, il portoghese Vítor Constâncio, in occasione della presentazione del bilancio annuale, non ha chiuso a misure di alleggerimento ma ha esplicitamente fatto riferimento alla necessità di verificare l’andamento dell’inflazione ad aprile prima di prendere qualsiasi decisione.
Il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, ha ribadito la posizione della Germania, frenando su un piano d’acquisto di bond e invitando a non distogliere l’attenzione e le energie dalla necessità, per alcuni Paesi, di concludere il processo di riforme.

L’APERTURA AGLI ABS
Diversa la linea del membro austriaco del board Ewald Novotny, che propende verso un’ipotesi di quantitative easing rivolto ad asset privati, in particolare alle cartolarizzazioni (asset-backed securities), soprattutto a quelle legate a prestiti alle piccole e medie imprese.
Su questo punto – come scrive Beda Romano sul Sole 24 Ore – ha tenuto un discorso ad hoc un altro membro della Bce, il lussemburghese Yves Mersch, che ha anche esortato le autorità regolamentari a rivedere le norme sugli strumenti garantiti, gli Abs, notando che un eccesso di regolamentazione sta ostacolando il flusso di credito verso Pmi.

UN PIANO POCO EFFICACE
Ciò – sottolinea sul quotidiano di Confindustria Alessandro Merli – richiederebbe tuttavia un cambiamento dei requisiti patrimoniali, che al momento rendono queste operazioni non convenienti per le banche.  Certo, “la rinascita delle cartolarizzazioni, accusate di essere uno degli strumenti che hanno aggravato la crisi finanziaria globale, potrebbe mitigare la stretta creditizia tuttora in corso“, secondo un’analisi di Goldman Sachs. Ma “resta il problema degli importi, assolutamente inadeguati ad avere un impatto significativo. Le emissioni di Abs legati ai prestiti alle Pmi sono state di 19 miliardi di euro nel 2013 e anche al picco del 2011 arrivavano appena a 60 miliardi. Gli Abs complessivamente in circolazione sono 716 miliardi di euro, di cui 300 già dati in garanzia alla Bce”. Per questo, fare il Qe escludendo gli acquisti di debito pubblico appare un’impresa ardua“, si legge sulla testata diretta da Roberto Napoletano.

FAVORISCE LA GERMANIA?
Non solo. Intervistato dal Corriere della Sera dal Workshop Ambrosetti a Cernobbio, l’economista Luigi Zingales crede che la mossa con cui la Bundesbank ha nei giorni scorsi parzialmente (e con molte riserve) aperto all’acquisto di titoli da parte della Bce per contrastare il rischio di deflazione nell’Eurozona, sia anche “un modo per non restare isolati, creando consenso su una modalità che finisce per favorire le imprese tedesche piuttosto che quelle dei Paesi Sud Europa, Italia compresa“. Weidmann – ha interpretato il docente italiano della Booth School of Business dell’Università di Chicago – ha anticipato la manovra del quantitative easing “per evitare che si formi un consenso sull’acquisto dei titoli pubblici. Ma questo invece di aiutare gli Stati in difficoltà del Sud Europa, favorisce Paesi come la Germania perché finanzia le imprese che hanno titoli negoziabili ad alto rating e in Italia purtroppo non ce ne sono molte“.

FESTEGGIAMENTI PREMATURI
Un dubbio alimentato su Formiche.net dall’analisi dell’economista Giuseppe Pennisi, che si chiede quale potrebbe essere l’impatto di queste misure sull’economia italiana. “Da un lato, sotto il profilo macro-economico – sottolinea –, la strategia dovrebbe assicurare quella crescita dello 0,8% per il 2014 che pare essere l’assunto di base della strategia del Governo e del Def. Da un altro, sotto il profilo micro-economico, si conta che dalla Bce la liquidità arrivi alle banche centrali e quindi agli istituti di credito e da essi alle imprese“.
Tuttavia, scrive ancora l’economista invitando alla calma, secondo uno studio del CESifo appena pubblicato, le politiche monetarie di Bce e Federal Reserve “hanno da tempo il profumo” di “politiche di bilancio accomandanti” neokeynesiane. Ciò ha un’implicazione importante: dalla fine del 2008 il nesso tra i tassi di interesse bancari e i rendimenti delle obbligazioni statali è diminuito in misura significativa. Ergo, “il successo potenziale di strumenti non convenzionali, come le Outright Monetary Transactions, Omt, è molto limitato”. Valenti economisti avevano, secondo Pennisi, avvertito che le autorità monetarie (riferendosi principalmente alla Federal Reserve) non sarebbero dovute tornare a una strategia analoga a quella precedente la crisi perché “si sarebbe dovuto dare olio al sistema su una base permanente”. Sulla finanza e sull’economia reale europea, incomberebbe infatti una trappola della liquidità tanto più severa quanto maggiore è il debito pubblico.


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