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Ecco i numeri veri sulle mazzate del Fiscal Compact

plastica

1.Il Fiscal Compact stabilisce che ogni anno il debito deve essere ridotto di 1/20 della distanza tra il livello del debito e il 60%. Quando il debito è al 130%, il ritmo di riduzione del rapporto debito/Pil è di 3,5 punti, ossia (130-70)/20, ma quando il debito scende al 110% del Prodotto la riduzione annua richiesta cala al 2,5%, ossia (110-60)/20. Nel caso di una crescita del Pil nominale del 2,8%, come sopra, non c’è più bisogno di un saldo di bilancio in pareggio per raggiungere l’obiettivo ma basta anche un disavanzo dello 0,5%. In sintesi, l’aggiustamento richiesto per soddisfare il Fiscal Compact, in termini di saldo di bilancio, avviene soprattutto all’inizio del processo. Una volta raggiunto il saldo primario necessario, basta mantenerlo immutato per continuare a soddisfare il requisito della riduzione del debito. Dopo qualche anno è addirittura possibile allentare lo sforzo.

Argomento interessante quanto errato. Senza entrare per ora nel merito se lo sforzo richiesto dal Fiscal Compact sia utile o meno al Paese, quello che va puntualizzato è che il Fiscal Compact richiede uno sforzo e soprattutto che questo sforzo non “sparisce” dopo il primo anno in cui si fa quanto richiesto. Se al primo anno esso richiede di alzare le tasse e  diminuire le spese di “X”, non è che al secondo anno il mantenere le tasse al nuovo, più alto, livello, o le spese al nuovo, più basso, livello, non implica un eguale sacrificio. “Basta” mantenerlo immutato non è per niente facile.

La fallacia della crescita (e dell’inflazione) che non c’è

2. Una obiezione che viene spesso avanzata è che non è facile ridurre il rapporto debito/Pil del 3,5% all’anno, soprattutto quando la crescita è bassa. Ma se la crescita dell’economia reale è più elevata di 1 punto (1,8% reale e 2% d’inflazione), il surplus primario necessario per raggiungere l’obiettivo è solo del 4,7%. In altre parole, più alta è la crescita, minore è lo sforzo necessario per raggiungere l’obiettivo del Fiscal Compact.

1.8 di crescita reale? Oggi siamo  allo 0,6%. 2% d’inflazione? Oggi siamo allo 0,5%. Ben lontani da quelle soglie indicate d Bini Smaghi (e da Visco), ragione per cui il Fiscal Compact ci deve terrorizzare per lo sforzo che richiede (e ragion per cui, come vedremo sotto, Renzi e Padoan chiedono avanzi primari del … 6% del PIL). C’è di più tuttavia: “più alta è la crescita minore lo sforzo”, fa sembrare che la crescita caschi dal cielo e non dipenda anche dall’impatto che le attuali restrizioni di bilancio richieste da Fiscal Compact generano sulla crescita futura. Ma la disoccupazione giovanile che si trasforma in scoraggiamento, la crescente evasione verso il settore in nero e la criminalità organizzata di persone ed imprese, la fuga dei cervelli all’estero perché non c’è lavoro, la chiusura di tante piccole imprese che non torneranno più sono effetti di lungo periodo del Fiscal Compact e di questa austerità, che fanno sì che più cerchiamo di raggiungere l’obiettivo del Fiscal Compact più aumenta lo sforzo necessario per raggiungerlo perché la nostra economia cresce di meno nel lungo periodo, inviluppandoci in un mostruoso circolo vizioso.

La fallacia dello sconto dovuto al ciclo economico

3. Il Fiscal Compact tiene comunque conto del fatto che quando il ciclo economico è negativo diventa controproducente cercare a tutti i costi di ridurre il debito a un ritmo di 1/20 del divario rispetto al 60%. È prevista pertanto una procedura per esaminare i motivi per cui un paese non riesce a ridurre il debito come previsto, che prende in considerazione l’impatto di effetti specifici, come i contributi al Fondo salva Stati e il ciclo economico negativo. Se il paese è in recessione o il suo livello di reddito è inferiore al potenziale, il vincolo non riguarda più il ritmo di riduzione del debito ma il raggiungimento di un saldo di bilancio corretto per gli effetti del ciclo economico inferiore allo 0,5% del Pil. Se tale saldo viene mantenuto immutato quando l’economia riprende a crescere, il bilancio nominale migliora e il debito si riduce in linea con i requisiti del Fiscal Compact.

In realtà è vero che se l’economia va male “si deve fare di meno” quanto a sforzo. Il che non ci libera dalla follia del Compact che appena le cose migliorano un po’ bisogna tornare a farci del male, ripiombando nell’oscurità degli sconti. E’ un po’ come dire che ci si tiene in vita comatosi ed al primo segno di guarigione ci si rimanda immediatamente in coma.

Ma anche qui il tema è un altro. Qual è il livello di avanzo primario che ci si chiede “quando il ciclo va male” come oggi? I dati del DEF sono chiari al riguardo: un avanzo primario del 6%, esattamente quello che mettono nei numeri di finanza pubblica Renzi e Padoan. Numeri che, per essere raggiunti, richiedono feroci manovre austere in un momento così debole della nostra economia: l’avanzo primario deve passare dal 2,4% di PIL del 2013 al 5,7% del 2017. 3,3% di PIL in 4 anni, sono manovre da 13 miliardi ogni anno, sufficienti per stendere un leone negli anni più critici per la sopravvivenza dell’area dell’euro a causa della sua scarsa appetibilità presso le gente, che ne vede, effettivamente, solo i sacrifici e non la direzione.

“Se il paese è in recessione o il suo livello di reddito è inferiore al potenziale” è una condizione che non rileva. Dalla recessione ne siamo usciti da poco, ed è difficile che vi torneremo, il pericolo è navigare attorno allo stato di coma clinico dello 0% di crescita. Ma anche in questo caso la Commissione europea ha trovato la soluzione per non farci sconti: come abbiamo visto, ha adattato anno dopo anno la nostra crescita potenziale sempre più al ribasso (o la nostra disoccupazione strutturale sempre più al rialzo), così che il nostro reddito non sarà … mai sotto al suo livello potenziale. E’ come se diceste ogni anno al malato che non è grave dopo avergli diagnosticato una malattia peggiore della precedente,  trovando il malato in salute rispetto a quanto male potrebbe stare. Il malato sta oggettivamente peggio di ieri, ma in fondo oggi potrebbe essergli andata peggio, sorrida, va tutto bene, non dobbiamo fare nulla.

La fallacia di quanto costa all’Italia abbattere il debito 

4. Prendendo il caso concreto dell’Italia, che nel 2013 ha registrato un saldo di bilancio corretto per il ciclo pari allo 0,6% del Pil, secondo le stime della Commissione europea, lo scarto rispetto al requisito del Fiscal Compact è di soli 0,1-0,2 punti percentuali. In altre parole, per essere in linea con il Fiscal Compact all’Italia mancano circa 3 miliardi di euro, non 50 come viene erroneamente sostenuto.

Magari fosse così. Al di là del fatto che il Tesoro per sua stessa ammissione per il 2015 deve raggiungere lo 0% dallo 0,6% per non violare la regola del debito, Bini Smaghi non si rende conto che raggiungere quello 0,6% ha richiesto sacrifici che senza lo stupido Fiscal Compact non avremmo dovuto fare, uccidendo l’economia e tra l’altro facendo aumentare il rapporto debito-PIL che vorremmo abbattere, per colpa della mancata crescita che il Patto genera.

Per esempio, senza il Fiscal Compact che oggi ci chiede di essere allo 0,6% e domani allo 0%, avremmo potuto combattere per avere un deficit su PIL 2015 (non corretto per il ciclo) non pari al -1,8% ma al 3%. 1,2% in più per minori tasse ma soprattutto maggiori investimenti pubblici a sostegno della ripresa, soprattutto con un Governo come quello Renzi che sostiene di saper “spendere bene” visto che sostiene di saper “individuare gli sprechi”, due facce della stessa medaglia di un Governo che funziona. E invece siamo qui a prendere atto della riduzione programmata degli investimenti pubblici al loro livello storicamente più basso di sempre, 1,4% di PIL.

Per essere in linea con il Fiscal Compact i conti sui suoi costi si fanno rispetto ad un mondo senza Fiscal Compact.

La fallacia consolatoria

5. Questo risultato si basa sull’ipotesi che il rallentamento economico registrato in Italia negli ultimi due anni sia di natura temporanea, e non strutturale. Se invece la crescita tendenziale dell’Italia è strutturalmente scesa a zero, diventa necessario un attivo di bilancio per far calare il debito. In questa ipotesi, è l’intera sostenibilità del debito pubblico del paese che diventa a rischio, e non può più essere curata con misure fiscali ma con interventi finanziari straordinari.

Anche qui, l’ipotesi di Lorenzo Bini Smaghi è che la crescita tendenziale italiana sia indipendente dalle manovre austere che si sono succedute in questi anni. Non devo citare Stiglitz, né tanti economisti che hanno ben spiegato il concetto di “isteresi” ovvero che shock di breve periodo possono avere impatti permanenti, di lungo periodo. Basti immaginare, lo ripeto, quanti piccoli imprenditori e giovani non torneranno più a contribuire alla crescita potenziale italiana a causa della stupida austerità: gli scoraggiati, gli emigrati all’estero, le aziende chiuse, la aziende delocalizzate. A queste aggiungo tutte quelle persone ed imprese ora operanti oggi e per sempre nell’economia in nero e nell’economia criminale, che tale scelta non avrebbero fatto senza questa stupidissima, evitabile, austerità che come solo risultato conseguito sui conti pubblici ha avuto l’aumento del rapporto debito–PIL.

La fallacia del guardare a casa nostra

6. In sintesi, il Fiscal Compact non è uno strumento rigido che imbriglia le politiche economiche dei paesi europei, ma contiene clausole di salvaguardia per tener conto della situazione congiunturale. D’altra parte, l’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che i paesi fortemente indebitati che non riescono a ridurre in modo continuativo il peso del loro debito pubblico possono trovarsi in una situazione molto vulnerabile per affrontare crisi scoppiate anche al di fuori dei loro confini, e contagiare il resto del sistema. Il Fiscal Compact è inoltre propedeutico a qualsiasi progresso si possa fare nell’ambito di una maggiore mutualizzazione delle finanze pubbliche dei paesi europei.

Non mi pare che si sia riusciti, grazie al Fiscal Compact, a ridurre in modo continuativo il peso del debito pubblico, anzi. Prendo atto tuttavia che solo in Europa siamo riusciti a costruire un meccanismo così arzigogolato da risultare incomprensibile ai più. Stati Uniti e Giappone, due paesi importanti nel consesso mondiale, non si sono mai sognati di ideare un tale meccanismo ieri, né mai lo faranno. Ma per un motivo molto semplice: Stati Uniti e Giappone hanno capito la vera lezione di questa crisi, ovvero che si esce da emergenze finanziarie e dalla carenza di domanda di questa portata con politiche economiche fortemente anticicliche, influenzando le aspettative degli operatori e non lasciandoli in balia di meccanismi contabili di ghiaccio che invece che riscaldare i cuori e le speranze congelano per sempre le economie in una trappola di pessimismo e disillusione, finendo per uccidere anche i sogni di una Europa al centro del mondo. Detto questo, credo che il tempo delle discussioni sia finito e sia necessario impegnare politicamente le proprie forze e schierarsi in un campo o in un altro. I Viaggiatori in Movimento a cui appartengo lo faranno, chiedendo non solo una moratoria sul Fiscal Compact ma impegnandosi al più presto nella raccolta delle firme necessarie per un referendum abrogativo sulla stupida austerità così come importata nelle nostre leggi nazionali. Speriamo con ciò di svegliare chi crede nell’Europa dell’euro prima che sia troppo tardi.


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