Tutto perfetto a Rimini: una bella giornata, il sole alto, il mare calmo, la temperatura gradevole, la buona accoglienza all’entrata del Palacongressi, il saluto sorridente di Maurizio Landini a me e a Beppe Farina della Fim. Poi, il buio. Cioè, la relazione del segretario generale della Fiom al congresso dei metalmeccanici della Cgil in cui eravamo presenti come ospiti.
La percezione netta, man mano che procedeva nella lettura dei capoversi del testo scritto, di vederlo imbucato in un vicolo cieco da cui sarà assai arduo tirarsi fuori. Abbiamo assistito ad un crescendo di affermazioni da cui emerge con evidenza che il leader della Fiom andrà allo scontro aperto con la casa madre, una scelta che chiude ogni possibilità di contatto non solo con le confederazioni sindacali, ma tra le organizzazioni metalmeccaniche stesse.
I punti di dissenso sono molteplici, sia di carattere organizzativo interno alla Cgil, sia di relazione con tutto quello che di sindacale sta fuori al perimetro Fiom. Quello che proprio non va giù a Landini è il testo unico sulla rappresentanza, firmato da tutto il mondo sindacale e datoriale. Per noi potrebbe essere applicato fin da domani; per lui è il vulnus che lo porta a prendere sempre più le distanze dalla realtà. In questa ottica, quindi, prende le distanze dagli approfondimenti tipici di una categoria metalmeccanica per volare verso argomenti di natura confederale ed oltre.
Tutti temi nobilissimi, ma fuori sacco rispetto alla crisi industriale e manifatturiera che vive il Paese e di cui si dovrebbe occupare con un approccio analitico. La costituzione e il rapporto col governo Renzi, la guerra ed il disarmo; la lotta alla mafia e alla corruzione, solo per citare alcuni esempi. Non è un caso che applausi scroscianti li abbiano presi, quando c’eravamo noi, Gino Strada e don Luigi Ciotti. Ma lo stesso è successo per il costituzionalista Stefano Rodotà nella giornata di sabato, l’ultima dei lavori congressuali.
Fa una certa impressione ascoltare l’eloquio sincopato del fondatore di Emergency quando ribadisce che in tasca ha due sole tessere: quella dell’Anpi e quella della Fiom e che alza il pugno sinistro chiuso nel momento in cui saluta il pubblico. È lo stesso accade nell’udire la tonalità acuta del sacerdote piemontese che tuona contro la criminalità organizzata e l’indifferenza. Noi apprezziamo il dottor Strada quando cura i più sfortunati nei luoghi dei conflitti dimenticati, e ci commuove don Ciotti che abbraccia papa Francesco.
Ma a Rimini abbiamo visto due icone che fanno sponda ad una politica di parte, riverite dalla platea in quanto amiche del leader sindacale che ha scelto l’opposizione “tout court”. È il copione a cui assistiamo da anni delle manifestazioni della Fiom in piazza da sola, o quello dei soliloqui del suo leader nei consueti salotti televisivi. Non è un caso che i giornalisti presenti a Rimini abbiano chiesto al segretario generale della Fiom se al Congresso potesse arrivare anche il premier Renzi, anziché interrogarlo su quando si deciderà a firmare un rinnovo del contratto nazionale di lavoro.
La Fiom è dal 2001 che ha iniziato a non sottoscrivere più i contratti nazionali ed allora non c’era ancora Sergio Marchionne in Italia, non esisteva il testo unico sulla rappresentanza e Matteo Renzi si era da poco laureato. Il problema parte da lontano, solo che questo Paese ha la memoria corta e ragiona su posizioni contingenti, anziché chiedere conto di azioni e comportamenti contraddittori chi li compie. È dal 2001 che la Fiom ha iniziato a perdere quella egemonia culturale che l’aveva caratterizzata fino ad allora nel mondo sindacale e a cercare di recuperare il vantaggio perduto con la presenza costante sui media. E per fare ascolto, la scelta costante di un nemico di turno, ieri Berlusconi, oggi addirittura la Camusso.
A tutti è stato applicato il medesimo atto d’accusa: la lesione del valore della democrazia. Quindi, l’agorà della Fiom per ritrovare il valore andato perso. È tutta qui l’autoreferenzialità di quella che è stata una grande organizzazione sindacale e che ora rischia l’isolamento nel mondo del lavoro, con gravi rischi di trascinamento per l’immagine pubblica dell’intero sindacato. A Rimini non siamo entrati nel merito della relazione di Maurizio Landini; non certo per timore di qualche fischio, o per qualche interruzione maleducata dalla platea.
Il segretario della Fiom ha sedato subito le poche intemperanze ed il suo popolo lo sta a sentire. Eravamo ospiti e per pura cortesia abbiamo portato il nostro saluto, cercando di individuare dei labili punti di colleganza. La verità è che dalla Fiom ci divide tutto. Si potrebbero fare azioni comuni a favore degli ammortizzatori sociali; contro l’innalzamento dell’età pensionabile che non tiene conto delle condizioni di lavoro; contro certe privatizzazioni ipotizzate solo per far cassa; a sostegno di riorganizzazioni industriali, come quella dell’Electrolux, in cui deve esser chiaro che non dovranno esserci esuberi, né ora, né tra tre anni.
Tutte scelte che non possono essere condivise tra noi e la Fiom, perché mancano le premesse effettive anche per un modesto patto d’azione. Mentre tutto cambia è proprio la Fiom che rifiuta di rimodularsi rispetto al cammino intrapreso da leader fiommini come Claudio Sabattini, o Gianni Rinaldini.
È vero che i due predecessori di Landini hanno praticato la via dell’opposizione politica dura e pura, ma almeno contratti con Fiat e Federmeccanica nella loro vita sindacale li hanno firmati. L’attuale leader della Fiom, invece, da quando è in carica, è fermo all’anno zero in tal senso. Sia ben chiaro:ciò che più osteggia la Fiom a noi va bene. Abbiamo apprezzato gli accordi del 28 giugno 2011, del 31 maggio 2013 e, soprattutto il Testo unico del 10 gennaio sulla rappresentanza che va accettato nella sua interezza.Riteniamo che, nonostante le difficoltà che presenta il mercato dell’auto, gli accordi sottoscritti con Fiat hanno contribuito in modo decisivo a preservare l’apparato della produzione automobilistica in Italia. Crediamo che le regole contrattuali definite nel 2009 tra Cisl, Uil e Associazioni datoriali abbiano funzionato, garantendo certezze ai negoziatori.
Bastano questi capisaldi a dimostrare come la Uilm si muova nella logica della confederalità. La Fiom, invece, procede in senso inverso. Anzi, fa di più: rifiuta che si prendano decisioni a maggioranza come previsto dalle regole confederali e rigetta ogni possibilità di mediazione con noi. Sì, è proprio in un vicolo cieco. E non saranno le nobili figure di Rodotà,Strada e don Ciotti a farla uscire da lì.