È pensabile riformare l’Unione economica e monetaria archiviando l’austerità finanziaria e promuovendo con una revisione federalista dell’architettura europea una strategia espansiva? L’orizzonte di un rilancio in forme nuove dell’area della valuta unica appare destinato, per ora, a restare minoritario nello scenario politico.
La consapevolezza di una radicalizzazione dello scontro fra supporter entusiasti dell’adesione alla moneta comune e fautori del suo abbandono per salvare l’economia di intere popolazioni è accentuata alla luce del convegno internazionale “Un’Europa senza euro. Costi e benefici per imprese e famiglie europee”, promosso ieri all’Auditorium Antonianum di Roma dall’associazione culturale A/simmetrie creata e guidata dall’economista Alberto Bagnai.
Oltre gli euro-entusiasti e i riformatori dell’Euro-zona
Professore di Politica economica nell’Università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara e autore del libro “Il tramonto dell’euro. Come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa”, lo studioso ha coinvolto economisti e politici per riflettere sugli scenari di un abbandono concordato della divisa comunitaria. Esattamente l’obiettivo formulato nel Manifesto di Solidarietà Europea, redatto nel gennaio 2013 per preservare le conquiste preziose dell’UE e del Mercato comune tramite una segmentazione controllata dell’Euro-zona.
Un’iniziativa radicalmente alternativa a quella che si va aggregando attorno all’ex componente del direttivo della BCE Lorenzo Bini Smaghi e al Manifesto-appello da lui pubblicato sul Corriere della Sera. Ma che si muove oltre le tesi sul “tradimento” del Trattato di Maastricht” enucleate dal giurista Giuseppe Guarino e il progetto di referendum sul Patto di stabilità e il Fiscal Compact avanzato dall’economista Gustavo Piga.
Un fronte politico trasversale
Al pari di quanto avvenuto nel dicembre 2013 si profila un fronte culturale e politico trasversale accomunato da bersagli ben precisi. L’accusa concerne una Ue che reagisce al cambio valutario fisso imposto su realtà economiche non omogenee comprimendo retribuzioni e diritti dei lavoratori, i consumi interni e la produzione di beni commerciali. Distruggendo il mercato interno, fagocitando se stessa, annullando la sovranità democratica e l’indipendenza dei paesi meridionali come la Grecia.
Un prezzo troppo alto
L’avvento dell’euro, ha ricordato Paolo Savona, professore di Politica economica all’Università LUISS e presidente della Fondazione Ugo La Malfa, fu salutato da chi pensava di cogliere i riflessi positivi della competizione internazionale, valorizzare le esportazioni, evitare i costi elevati di conversione valutaria, promuovere con vincoli esterni riforme virtuose a livello nazionale.
Ma il prezzo da pagare è stato notevole: perdita di sovranità sugli strumenti anti-crisi come la svalutazione competitiva, i tassi di cambio flessibili, il ricorso al deficit spending senza sostituirli con analoghe misure europee; esposizione del cambio dell’euro alle politiche monetarie dei paesi extra-europei; mancanza di un’istituzione finanziaria pubblica prestatrice di ultima istanza come la Federal Reserve.
Tuttavia, anziché cambiare l’architettura comunitaria e l’austerità assente nel resto del pianeta, il ceto politico italiano ha focalizzato le energie sulla riduzione del Welfare, sull’aumento esponenziale della pressione fiscale, sul calo degli investimenti pubblici e della ricchezza privata, sul trasferimento delle risorse produttive all’estero, sul crollo dell’occupazione. Con l’esito apparentemente paradossale dell’incremento del rapporto tra debito e PIL.
Costruire nuove alleanze
Per rompere la tendenza e favorire una politica della domanda, l’ex ministro dell’Industria suggerisce al governo di costruire alleanze europee e globali orientate verso strategie espansive. Altrimenti “è dovere delle classi dirigenti contemplare l’opzione dell’abbandono dell’euro”. Una sinergia a livello comunitario è prospettata dall’ex leader del Partito repubblicano Giorgio La Malfa: “Italia e Francia hanno l’obbligo di persuadere la Germania che bisogna adottare un tasso di cambio conveniente per tutti. Un passo preliminare a ogni ragionamento su un governo federale con un Tesoro e una Banca centrale di stampo nordamericano”.
Un liberale anti-euro
Per altri studiosi il punto di non ritorno è già stato superato. Frederik Bolkestein, politico olandese e alfiere della liberalizzazione del mercato comunitario nella veste di Commissario europeo tra il 1999 e il 2004, mette in luce le contraddizioni congenite della valuta unica. Creata per volontà della Germania di Helmut Kohl, che puntava all’unificazione tedesca, e della Francia di Francois Mitterrand, che aspirava a esercitare un’influenza politica sulla BCE e a realizzare politiche economico interventiste, centralizzate, redistributive. Finalità ritenute inaccettabili dai governi di Berlino e Amsterdam.
Prevalse la tesi tedesco-olandese di una Banca centrale indipendente con la missione di garantire stabilità dei prezzi, pareggio dei bilanci, punizioni per gli Stati in deficit. Così fu imposta una valuta identica per due gruppi di nazioni con differenti culture economiche: un’area eterogenea che avrebbe reso difficile mantenere il Patto di stabilità.
L’euro, osserva, ha rappresentato un sonnifero per le nazioni in deficit che grazie ad esso hanno coltivato i sogni di un “dolce far nulla” anziché preoccuparsi per la propria competitività. Salvo invertire bruscamente la rotta con l’affermazione delle politiche di austerità. Una possibile soluzione vedrebbe le nazioni più fragili uscire temporaneamente e poi rientrare nella valuta unica dopo una svalutazione competitiva e riforme strutturali. Molto più percorribile per Bolkestein introdurre nei paesi ricchi del Nord Europa una moneta complementare.
Uno scenario realistico
Ad analoghe formulazioni approda la riflessione di Alberto Bagnai, culturalmente agli antipodi rispetto alle premesse liberal-liberiste dell’ex Commissario UE: “Il trend avviato con l’adozione dell’Unione monetaria verrà accentuato puntando sulla svalutazione interna della valuta unica. Parte fondamentale di un progetto volto ad attuare la ‘contro-rivoluzione francese’ creando un enorme sottoproletariato schiacciato da un’aristocrazia finanziaria”.
Agli avversari dell’abbandono concertato dell’euro lo studioso spiega che la nuova lira oscillante nel cambio risponderebbe meglio alla realtà economica del nostro paese, tessuto sano di piccole e medie imprese. Una svalutazione monetaria del 20 per cento “non avverrebbe in maniera drastica nell’arco di una giornata ma sarebbe guidata nel tempo dal governo, grazie a una politica fiscale elastica e a un guadagno competitivo con entrate certe per l’Erario”. Nessuno spettro di carriole con cartamoneta per approvvigionarsi alle pompe di benzina come nella Germania di Weimar.
Uno sguardo rivolto agli Stati Uniti
Una proposta innovativa con robusti riscontri nel mondo democratico ma finora minoritaria nel proscenio italiano ed europeo viene formulata da Riccardo Puglisi, economista liberale-liberista che insegna all’Università di Pavia. Il quale già nel 1998 caldeggiava una politica federale dell’UE capace di favorire la stabilizzazione monetaria e fiscale tramite trasferimenti di risorse dagli Stati più ricchi a quelli più fragili. E oggi aspira a rendere l’area della moneta comune somigliante all’unione nordamericana. La svalutazione competitiva del 20 per cento di cui parla Bagnai, osserva lo studioso, può verificarsi con l’euro rispetto al dollaro.
Un comodo alibi
Mentre la campagna anti-euro “rischia di individuare nella valuta unica il capro espiatorio per una crisi produttiva legata a un tessuto di PMI attive in comparti poco innovativi, a un passivo di bilancio abnorme accumulato per decenni da un ‘ceto digerente’ piuttosto che dirigente, a un regime previdenziale che richiede ai contribuenti risorse maggiori rispetto agli assegni elargiti”. La fuoriuscita dalla valuta unica, rimarca l’economista, specie se realizzata con il referendum invocato dal Movimento Cinque Stelle provocherebbe una corsa dei correntisti agli sportelli bancari per ritirare e riconvertire i risparmi svalutati. E gli effetti salutari della flessibilità del cambio si limiterebbero al breve periodo.
Restare per sfidare l’austerità
Favorevole alla permanenza nell’Euro-zona, in un’ottica progressista, è il parlamentare del Partito democratico Stefano Fassina: “Una volta svalutata la nostra nuova divisa, chi ci garantisce che gli altri paesi europei non faranno altrettanto?” La strada corretta, rileva il rappresentante della sinistra del Nazareno, non è quella mercantilista fondata sul primato delle esportazioni, le riforme strutturali, la precarizzazione del lavoro. È la ricetta ispirata a John Maynard Keynes mirante a stimolare la domanda interna tramite investimenti pubblici favoriti da Euro-Project bond.
Abbandonare per una svolta a sinistra
Radicalmente opposta la risposta di Ugo Boghetta, esponente dell’ala di Rifondazione Comunista che ritiene necessario tornare alla sovranità valutaria nazionale. A suo giudizio i trattati comunitari e l’euro, con il suo rapporto di cambio rigido, hanno “messo in mora” la Costituzione repubblicana realizzando una “lotta di classe al rovescio”. Abbandonare la valuta unica, osserva, è il punto di partenza per imprimere una svolta anti-liberista, interventista, redistributrice.
Aggregare tutti i gruppi anti-euro
Ambisce a superare i tradizionali steccati politici Gianni Alemanno, rappresentante di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale e presidente della Fondazione Nuova Italia: “Bisogna trovare un’unità di azione fra tutti i gruppi favorevoli a una “battaglia di sovranità democratica e indipendenza economica”, affinché governino forze scelte dai cittadini e non dalle tecnocrazie di Bruxelles. L’appuntamento europeo costituisce la cornice propizia per favorire la vittoria del fronte euro-critico e richiedere la dissoluzione controllata dell’Euro-zona: “Perché il muro del Fiscal Compact non potrà essere valicato dal governo Renzi”.
Il Carroccio si affida a Borghi
Lapidario il leader della Lega Nord Matteo Salvini: “Dietro l’euro vi è il pensiero unico predominante che è necessario combattere con argomenti forti e netti. Per questo motivo ho scelto di candidare per l’Assemblea di Strasburgo Claudio Borghi Aquilini, tra gli economisti più sferzanti verso la costruzione monetaria”.