Durante la conferenza stampa di presentazione del Def erano stati molti i giornalisti a non comprendere quali fossero le reali intenzioni di Matteo Renzi sugli F-35.
Il premier, parlando un po’ in politichese, aveva detto di voler “rimodulare il programma“, senza entrare però nel dettaglio.
L’INDISCREZIONE DI REPUBBLICA
Oggi è La Repubblica, in un articolo a firma di Francesco Bei, a pubblicare un’indiscrezione già circolata nelle scorse settimane: il presidente del Consiglio sarebbe intenzionato a ridurre da 90 a 45 i velivoli da ordinare.
“Un cambiamento di rotta inimmaginabile fino a poco tempo fa – sottolinea il quotidiano diretto da Ezio Mauro –, con il Quirinale, lo Stato maggiore e, soprattutto, gli Stati Uniti a premere per il rispetto degli impegni. E tuttavia ormai il dado è tratto, anche se l’ordine di sei aeroplani per il 2014 non verrà toccato“.
A convincere Renzi sarebbe stato il risparmio atteso, che l’Espresso, solo riducendo gli aerei da 40 a 29, ha stimato in circa 2 miliardi di euro entro il 2019.
IL PIANO DI RENZI
Il decreto approvato venerdì – prosegue Bei – “si limita invece a sforbiciare dal capitolo F35 “soltanto” 153 milioni di euro“. Ma non è infatti quello che bolle in pentola, “almeno non solo“. Il vero obiettivo di Renzi “è tagliare la metà degli aeroplani, senza tuttavia pagare i pesanti dazi politici e commerciali che il ripensamento comporta“.
Renzi, d’accordo con il ministro della Difesa Roberta Pinotti, scrive Repubblica, vuole portare la discussione a livello politico direttamente a Washington. Per ricontrattare tutto.
Come? “Prima dell’estate il governo farà uscire dai cassetti il libro bianco della Difesa, che conterrà le linee guide del nuovo modello italiano. Sarà quello il documento politico per giustificare nuove necessità geopolitiche e dunque la riduzione degli F35“.
“Andremo dagli americani – spiega una fonte qualificata della Difesa citata nell’articolo di Bei – per dire loro che non ce la facciamo. Del resto la Casa Bianca ci ha lasciato a bocca asciutta con l’elicottero di Obama che avrebbe dovuto costruire la nostra Agusta Westland e non Sikorsky. Anzi, chiederemo il loro aiuto nella trattativa con la Lockheed per evitare ritorsioni“.
L’APPELLO DI OBAMA
Ma non sarà facile. Un’ulteriore riduzione dei velivoli acquistati è vista di cattivo occhio anche dalla Casa Bianca (il presidente Barack Obama a Roma aveva ricordato che “la libertà ha un costo“), che chiede agli alleati Nato di non ridimensionare ulteriormente i propri apparati di difesa (gli Usa devolvono il 4,35% del Pil in Difesa, mentre la media negli Stati europei si attesta intorno all’ 1,7%. Ancora peggiori i numeri italiani, con un taglio alla spesa militare del 26% rispetto al 2004, secondo un recentissimo rapporto Sipri).
I RISCHI
Tagliare, pardon, “rimodulare”, per dirla alla Renzi, il programma F-35 non è però privo di rischi. Flavia Giacobbe, direttore di Airpress, scrive oggi che “la stessa eventuale riduzione degli F35 danneggerà molto più gli impianti produttivi italiani di Cameri che non i conti della Lockeed Martin. Allo stesso modo, gli altri 250 milioni di tagli avranno un effetto diretto sul comparto industriale. Senza contare l’ulteriore marginalizzazione dell’Italia nelle strategie europee e globali. Considerando la leva positiva che l’industria della difesa produce (si veda recente studio di Prometeia su Finmeccanica e quello di PricewaterhouseCoopers sul Jsf) si può concludere che il danno al Paese sarà ben superiore ai risparmi attesi“.