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Non c’è pace in Ucraina

Dalla serata di ieri, è ufficialmente saltato l’accordo di Ginevra firmato il 17 aprile da Stati Uniti, Unione Europe, Ucraina e Russia, per porre fine alla crisi che sta investendo la regione orientale dell’Ucraina. Tra gli obiettivi era previsto il disarmo delle milizie locali e l’abbandono degli edifici governativi occupati: entrambi i punti sono stati disattesi, e gli estremi messi sul tavolo di colloquio, come era prevedibile, sono saltati – anche perché non era stata concessa la partecipazione ai filorussi, che hanno da subito disconosciuto gli accordi e anzi chiesto le dimissioni del governo temporaneo di Kiev.

Il casus belli che ha portato il presidente Oleksander Turcinov ad ordinare la ripresa della operazioni militari verso le regioni orientali del Paese, sembra sia stato il ritrovamento dei corpi di due uomini, uccisi dai filorussi dopo torture, nelle aree periferiche di Donetsk. Secondo fonti locali, uno di questi sarebbe Vladimir Pybak, membro del consiglio comunale di Gorlovka (una città a 40 chilometri a nord del capoluogo), eletto con il partito “Patria” di Yulia Timoschenko. Pybak nei giorni precedenti era stato molto critico con i filorussi e si era reso protagonista di un gesto plateale: entrato nel municipio del suo comune, aveva tolto la bandiera dell’autoproclamata “Repubblica di Donetsk”, sostituendola con quella Ucraina.

Va detto che la morte del consigliere comunale, non è la sola motivazione per la riapertura delle attività militari del governo, ma arriva dopo giorni in cui la crisi aveva avuto un’escalation relativa (il Guardian ha fatto una mappa interattiva che mostra la situazione in ciascuna città): a Solviansk ci sono stati morti in entrambi gli schieramenti, così come scontri violenti si sono registrati a Mariupol; Donetsk invece, è ormai considerata completamente sotto il controllo delle forze russofone. Ieri è anche stato rapito un reporter di Vice News, Simon Ostrovsky (spesso citato per i suoi reportage video tra i due lati della barricate): il sindaco di Sloviansk, il misterioso ex militare russo Vyacheslav Ponomarev, responsabile del rapimento, ha riferito che il giornalista sta bene ma è detenuto dalle sue forze di sicurezza – Ponomarev, nei giorni precedenti, aveva più volte richiesto l’intervento di unità di peacekeeping russe per ristabilire la situazione. Sempre ieri, il ministro degli Interni Avakov, ha fatto sapere che un areo ucraino in missione di perlustrazione nell’area di Sloviansk, è stato colpito da diverse scariche di armi automatiche, senza tuttavia riportare serie conseguenze.

La decisione presa d’interrompere la tregua pasquale e di riprendere quelle che vengono definite operazioni anti-terrorismo ad Est, arriva nelle ore conclusive della visita del vice presidente americano Joe Biden, che si era recato a Kiev per esprimere il sostegno occidentale al governo regolare. Biden, ha anche annunciato l’avvio di esercitazioni in Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia. I primi a partire, secondo indiscrezioni uscite dal Pentagono, saranno 150 soldati della 173/ma brigata aviotrasportata di stanza alla caserma Camp Ederle di Vicenza; successivamente entro la fine della settimana, arriveranno un totale di 600 uomini, con supporto di mezzi e strumentazioni.

Il ministro degli Esteri russo Lavrov, ha commentato accusando l’America di ingerenza nei processi interni ucraini, e fatto sapere che la Russia è pronta ad una nuova Georgia, «se i suoi interessi saranno attaccati». Da Mosca arrivano anche risposte alle nuove sanzioni ventilate da Biden: il premier Medeved s’è detto pronto a sostenere interventi anche più pesanti per la propria economia – «Il nostro popolo, non diventerà ostaggio di giochi politici e di sanzioni vergognose» le sue parole.

Biden ha definito «minacce umilianti», quelle subite dall’Ucraina per mano russa: ed è tornato a calcare la mano sulla presenza di militari russi dietro le linee di Donestk e città limitrofe. Ormai Kiev e Washington sono concordi nel sostenere – più che sospettare, tanto che è arrivata una denuncia all’Osce – che tra i miliziani ribelli ci siano uomini delle forze speciali russe (si parla degli Spetsnaz, come già si diceva). Il New York Times e diversa altra stampa americana, hanno sottolineato la notizia sugli “uomini in verde”: così vengono definiti i militari incappucciati che presidiano armati, in mimetica, gli edifici occupati nella varie città orientali. In particolare, l’attenzione si era concentrata su un uomo, riconoscibile dalla particolare lunga barba, che sarebbe stato visto sia a Sloviansk che a Kromatorsk in questi giorni – l’uomo, in vecchie foto pubblicate anche da Repubblica, era stato ripreso tra le unità dei reparti speciali che avevano invaso la Georgia sei anni fa.

Anna Applebaum su Slate, aveva definito questa tipologia di guerra – per certi versi incomprensibile, talmente è la distanza con quello che normalmente definiamo come tale – maskirovka, cioè «un inganno militare che si ottiene soprattutto con la guerra psicologica e d’informazione». La strategia, che per altro rivive vecchie pratiche russe dei tempi del KGB dello stesso Putin, è pensata per confondere non solo gli oppositori, ma anche i potenziali alleati degli oppositori. Muscoli e cervello, che tengono in scacco l’Ucraina. (E torna il problema della necessità occidentale, di schierare più “intelligence umana” – «gli F-16 Nato non possono combattere teppisti che assaltano edifici», mossi da agenti segreti russi.

Una nuova guerra fredda dunque, e a quanto pare Obama avrebbe indirizzato la sua razionalizzazione del mondo in tal senso. Sebbene la necessità di gestire la crisi dal punto di vista diplomatico appare l’unica via praticabile – una guerra sarebbe, inutile dirlo, catastrofica non solo per le perdite umane, ma anche per il critico contesto temporale attuale – il presidente americano sta pensando ad un progressivo isolamento della Russia. Isolamento al quale, of course, dovranno provvedere anche i propri alleati. Su tutti Germania e Italia, che tra le nazioni europee (anche per il grosso valore degli interessi in gioco) avevano da subito sposato posizioni più aperte nei confronti di Putin. La Cancelliera Merkel, ha ammesso di essere stata spiazzata dalla spallata di Putin, e se pure continui ad avere con Mosca un contatto diretto e continuato, ha detto di non capire le sue intenzioni – un tattico formidabile, che ha colto l’occasione propizia, utilizzando una strategia basica e minimale, quanto efficace. Dalla nostra, Mogherini è rimasta più impantanata – e così l’interno governo Renzi – tra le pieghe delle mosse di Mosca. Perché se prima era giusto procedere cautamente, adesso l’alleato statunitense sta aprendo il gas e sarebbe adeguato seguirlo – in tutti i sensi, sembrerebbero infatti pronte le esportazioni transatlantiche di GNL (gas naturale liquefatto) americano. Tornando al senso figurato, gli Stati Uniti stanno aumentando i giri del motore nel raffreddare le relazioni. Obama sta via via ammettendo che anche fosse possibile una soluzione diplomatica alla crisi, i rapporti tra i due paesi saranno comunque definitivamente segnati. La traduzione nei fatti di questo atteggiamento, sta nella vicenda della designazione del prossimo ambasciatore a Mosca. Il nome che circolava da tempo era quello di John Tefft, ex di Ucraina, Georgia e Lituania, ma finora era stato proprio il suo curriculum a produrre indecisione. L’Amministrazione Obama non voleva che la sua esperienza in repubbliche ex sovietiche, potesse irritare Mosca. Ma dopo la crisi in Crimea, sembra che non ci saranno riluttanze sulla designazione – e sull’offendere il Cremlino.

Il timore di Stati Uniti e Europa, è dato dai fatti: nell’Ucraina orientale, Putin sta adottando le stesse strategie viste in Crimea.

A proposito della penisola neo-russa, il New York Times ha pubblicato un articolo in cui ha fatto il bilancio del primo mese lontano da Kiev: al di là della decisione di coniare una moneta d’argento con l’effige di Putin per commemorare l’annessione, in una parola la situazione potrebbe essere definita disastrosa. I problemi avvolgono tutti i settori della vita dei cittadini: dalle difficoltà dell’approvvigionamento del cibo, alla necessità di cambiare i propri documenti (patenti, targhe delle auto, assicurazioni, scuole, ricette mediche), alle banche chiuse (se non qualche filiale di istituti russi, dove occorre aspettare ore di coda), ai voli aerei tutti cancellati tranne quelli che portano in Russia. Restano chiusi anche gran parte degli edifici pubblici, i tribunali, il catasto, perché le principali problematiche riguardano proprio le transizioni di carattere burocratico. In strada girano autocostituite “squadre di autodifesa”, i cui compiti sono oscuri e che rappresentano pericoli per la gran parte delle minoranze, pretendo di mantenere a loro modo la sicurezza. Minoranze come i tatari, riabilitate per decreto dallo stesso Putin l’altro ieri – dopo gli anni bui delle persecuzioni staliniane – mentre al leader locale, il parlamentare Mustafa Zhemilev, veniva conferito il divieto d’ingresso nel territorio russo per cinque anni, Crimea compresa.

Ulteriore fulgido esempio di come Putin sta conducendo il gioco ucraino – chiamiamolo maskirovka.


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