L’offensiva intrapresa dal governo contro i poteri che a giudizio di Matteo Renzi frenano la marcia frenetica verso il rinnovamento è approdata su un terreno che fino ad oggi raramente la politica aveva osato mettere in discussione. È il corpo massiccio e imponente della giustizia amministrativa, che nel corso del tempo ha assunto un ruolo nevralgico di “contraltare” delle scelte compiute dalle istituzioni rappresentative. A partire dal coinvolgimento crescente dei TAR in tutti i comparti della vita pubblica.
Per capire fino a che punto è legittima l’iniziativa preannunciata dall’esecutivo e quali sono i settori di intervento più delicati e controversi, Formiche.net ha sentito Domenico Cacopardo, già magistrato, capo di gabinetto ministeriale e della presidenza del Senato, consigliere di Stato e scrittore.
Come giudica l’idea del governo di abolire le “sospensive” a pioggia dei TAR per imprimere uno sprint ai procedimenti?
Parlando senza acredine in un’ottica di collaborazione verso un governo che tenta di innovare, vorrei che si smettesse di parlare senza riflettere. Mi riferisco agli amministratori e alle burocrazie comunali, già molto esposti agli strali dei TAR. Nei quali esiste un rilevante arretrato dei ricorsi. Il blocco temporaneo delle iniziative contestate fino alla sentenza di merito, che in genere richiede tra 1 e 3 anni, rappresenta una sorta di verdetto anticipato. Ma la proposta di abolirlo è infantile, come diversi proclami degli esponenti dell’esecutivo.
Perché non la condivide?
L’esigenza di rimettere in moto l’Italia contro le molteplici forme di immobilismo non può tradursi in petizioni di principio prive di sbocco. La priorità è accelerare il percorso di informatizzazione dei processi, anche contro la volontà dell’avvocatura spesso portata a speculare sui ritardi della giustizia.
Nel nostro paese è evidente un potere abnorme dei tribunali amministrativi su ogni atto delle istituzioni politiche.
Troppe volte il giudice, ordinario o amministrativo, si sostituisce alla PA assumendo decisioni che sul piano costituzionale non gli competono. Realizzando un’invasione ed esondazione nel terreno proprio del potere esecutivo, al pari di quanto accade da tempo per opera della Corte costituzionale. Ma tutto ciò è provocato dalla fragilità della politica, dalla corruzione diffusa e radicata soprattutto a livello locale. Nel quale si sviluppa una sudditanza culturale dell’amministratore rispetto all’organo giurisdizionale. Tuttavia, i magistrati amministrativi non sono troppi e il numero dei funzionari pubblici rientra negli standard europei. Il problema è renderli efficienti e avvalersi di collaboratori di qualità.
Lei ha criticato l’alta burocrazia e il Consiglio di Stato, “luogo autoreferenziale che condiziona Parlamento e governo”.
È vero. Ma quella critica non esauriva il mio ragionamento. Perché il Consiglio di Stato costituisce l’unico organo istituzionale ricco di competenze simili all’École nationale d’administration francese. Il problema risiede nel ricorso eccessivo della politica alla consulenza dei consiglieri di Stato. Erano 80 sui 110 complessivi all’epoca del governo di Silvio Berlusconi. Tutti distaccati presso gli uffici del governo o le amministrazioni pubbliche. Un fenomeno che li ha sottratti alla funzione giurisdizionale, producendo gravi squilibri, aumento degli arretrati, conflitti di interesse tra ruolo di giudice e attività di consulente.
Come si può rompere questa prassi?
Non certo scatenando un’offensiva forsennata contro l’alta burocrazia – ambasciatori compresi – che in tal modo farebbe blocco in un fronte di conservazione. La priorità è limitare il ricorso ai distacchi dei giudici amministrativi. Penso a 5-8 figure che cooperano con il governo in posizioni chiave.
Non si dovrebbe smantellare la sezione Affari normativi del Consiglio di Stato?
Si tratta di un organo chiamato a pronunciarsi su atti legislativi di governo. Una realtà che sostanzia la funzione del Consiglio di Stato di consulente finale dell’esecutivo in merito a prerogative essenziali della pubblica amministrazione. Anziché abrogarla, è preferibile disciplinarne l’attività stabilendo confini e paletti temporali tra l’incarico di consulente del governo e il ruolo di giudice sulle sue scelte normative.
È fiducioso nella capacità di Matteo Renzi e Graziano Delrio di realizzare un profondo ricambio dei vertici ministeriali?
La loro carica di rinnovamento deve essere accompagnata dalle conoscenze adeguate fornite da uno staff autorevole, in grado di giocare un ruolo di alta mediazione tra dicasteri e di cambiare i gangli vitali della Pa soprattutto a livello territoriale. Ma sostituire i dirigenti delle amministrazioni statali con burocrati scelti nelle realtà locali non è una scelta lungimirante. Immagini che il premier vuole porre la comandante dei Vigili urbani di Firenze alla guida del’Ufficio legislativo di Palazzo Chigi. Contornandosi di yes men, Renzi non rivela forza ma insicurezza politica. Proprio come Romano Prodi.
Concorda con la riduzione delle retribuzioni annue dei magistrati a 240mila euro?
La ritengo una sciocchezza, una forma di tassazione surrettizia che verrà bocciata dalla Corte Costituzionale. Se la volontà è accrescere il prelievo fiscale sui redditi più elevati, il governo aumenti i tributi alla luce del sole. Eviti di incidere sui diritti acquisiti e sull’autonomia contrattuale delle parti, con l’unico risultato di incoraggiare i ricorsi e gli interventi giurisdizionali.