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Ma in Roncalli ci fu davvero ecumenismo ante litteram?

Tra i tanti libri pubblicati in questi mesi su Giovanni XXIII, il Papa che convocò tra lo stupore generale il Concilio Vaticano II nel gennaio del 1959, quello di Lorenzo Botrugno, “L’arte dell’incontro” (Marcianum Press), merita una sottolineatura particolare. Lontano dall’essere un’agiografia o un’esaltazione del beato prossimo santo, si concentra sull’esperienza decennale del diplomatico Roncalli in Bulgaria, lì mandato come Visitatore apostolico da Papa Pio XI nel 1925. Il giovane autore, dottorando di ricerca presso l’Università Cattolica di Milano, ripercorre quel momento storico, andando prima a illustrare la situazione bulgara del post Prima guerra mondiale, quindi ricordando le premesse alla visita apostolica decisa da Papa Ratti.

A QUANDO RISALE L’ORIENTAMENTO ECUMENICO DI GIOVANNI XXIII?

Il punto rilevante del libro – che contempla la prefazione del neocardinale Loris Capovilla, segretario storico di Roncalli – ruota attorno all’interrogativo se l’orientamento ecumenico fosse già presente nel visitatore apostolico bergamasco o se sia emerso solo successivamente, una volta ricevuta la tiara, alla morte di Pio XII. La risposta dell’autore è chiara: Angelo Giuseppe Roncalli collocò nell’orizzonte ufficiale unionista la missione bulgara. “Teorizzava il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa, senza alcuna anticipazione ecumenica. Ne sono dimostrazione evidente i primi pronunciamenti che, nel teorizzare prospettive di penetrazione del cattolicesimo in oriente a partire dalla Bulgaria, risultavano aderenti a quelli del padre gesuita Michel d’Herbigny“.

L’ATTEGGIAMENTO DI SUPERIORITA’ DI RONCALLI

Certo, i rapporti con gli ortodossi furono cordiali, tanto da provocare un disgelo con la chiesa locale. Tuttavia, “va segnalato l’atteggiamento di superiorità manifestato da Roncalli, che mai dimostrò di prestare fede alle aperture unioniste del metropolita di Sofia”. Di più: “La severità con cui l’arcivescovo bergamasco giudicò i primi tentativi di discussione ecumenica in ambito protestante costituisce ulteriore conferma della tesi qui sostenuta”. Naturalmente, “è innegabile una certa originalità di Roncalli di fronte al problema dell’Unione delle chiese”. A cosa ci si riferisca, è presto spiegato: “Gli ortodossi definiti fratelli e non scismatici, l’incontro al Fanar col patriarca ecumenico e il messaggio inviato al Concilio plenario dei vescovi ortodossi”.

“CERCARE CIO’ CHE UNISCE PIUTTOSTO CHE QUEL CHE DIVIDE”

Fatti che vanno tutti letti alla luce del metodo diplomatico utilizzato da Roncalli, volto a cercare ciò che unisce piuttosto che quel che divide. In ogni caso, ribadisce l’autore, “l’esperienza acquisita in Bulgaria contribuì a suscitare nel visitatore apostolico un approfondimento di riflessione sul tema dell’Unione delle Chiese e lo condusse ad una visione meno prossima ai sogni unionisti vaticani. Senza alcuna consapevolezza ante litteram dimostrò allora carità verso gli ortodossi e creò ponti funzionali, nel lungo periodo, a rimuovere reciproche ostilità e, di conseguenza a facilitare il ritorno dei dissidenti.

MA PER CAPOVILLA SI TRATTAVA DI ECUMENISMO

Di diversa opinione pare però essere l’uomo che più vicino fu a Roncalli, il cardinale Capovilla, che a conclusione della sua prefazione scrive che “mille volte Giovanni XXIII fece risonare il nome della Bulgaria nelle aule vaticane e sognò di reincontrare quelle comunità orientale e latina, affratellate insieme, così da rappresentare al vivo, come soleva ripetere Giovanni Paolo II, i due polmoni con cui respira la chiesa cattolica”. Più che unionismo, per Capovilla, si trattava dunque di ecumenismo. Ante litteram.


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