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Perché questa Europa non piacerebbe a Giulio Andreotti

Alla vigilia di una tornata elettorale decisiva per il loro avvenire, l’Unione Europea e l’Euro-zona sono avvolte da un alone di impopolarità nell’opinione pubblica. E appare remota la stagione fervida a cavallo fra gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, quando i responsabili politici di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna furono protagonisti della faticosa elaborazione del Trattato di Maastricht.

(NON SOLO ANDREOTTIANI A RICORDARE ANDREOTTI. LE FOTO DI PIZZI)

Tra loro spiccava Giulio Andreotti, scomparso un anno fa e in ricordo del quale è stato promosso dal Comitato che porta il suo nome il convegno “Il cammino europeo. La strada da percorrere”. L’iniziativa, organizzata nell’Aula “Giulio Cesare” del Campidoglio a Roma, la stessa in cui il 17 marzo 1957 furono firmati i Trattati istitutivi della Comunità economica europea, ha visto politici e studiosi confrontarsi su una figura centrale nella partecipazione del nostro Paese al percorso di integrazione comunitaria.

UNO SPIRITO POPOLARE, ROMANO, CATTOLICO E UNIVERSALE

Una personalità unica per longevità politica nella storia repubblicana. Parlamentare per 68 anni tra il 1945 e il 2013, sette volte Presidente del Consiglio, più volte ministro fin dai tempi del suo incarico di sottosegretario di Alcide De Gasperi a Palazzo Chigi, capo del Viminale a 34 anni, consigliere comunale nella Capitale nel 1976 prima di venire chiamato a guidare il “governo della non sfiducia”.

(UN EX ANDREOTTIANO DOC A ONORARE ANDREOTTI NELLE FOTO DI PIZZI)

Uno “spirito popolano di meticoloso cronista romano” nell’accezione cattolica e universale del termine, ricorda il suo amico e collaboratore Gianni Letta. E per tale ragione propenso al dialogo con tutti, avvezzo all’intensa frequentazione dei Sacri Palazzi, amante dello sport e della sua autonomia dalla politica fin da quando guidò il Comitato Olimpico per i Giochi del 1960. Artefice della ricostruzione di Cinecittà e del rilancio dello spettacolo grazie a una legge che favoriva dal punto di vista economico la produzione di film nazionali. Protagonista allo stesso tempo di una vivace polemica culturale con i registi e gli sceneggiatori neo-realisti che gli valse le accuse di censura.

UNA STAGIONE TRADITA

Andreotti, spiega l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, per natura non esaltava le glorie del potere né condannava i limiti della politica. Con tale spirito contribuì alla redazione del Trattato di Maastricht firmato il 17 febbraio 1992 a fianco di Helmut Kohl e Francois Mitterrand. Un accordo che, grazie al ruolo centrale svolto dall’allora ministro del Tesoro Guido Carli, prefigurava un’Europa imperniata sullo sviluppo armonioso e sulla virtù di bilancio come prospettiva di tendenza per le politiche economiche nazionali.

Ma che, come scrive il giurista Giuseppe Guarino nel suo ultimo libro “Cittadini europei e crisi dell’euro”, fu clamorosamente tradito e stravolto con un vero e proprio “colpo di mano” dal Regolamento comunitario 1466 del 1997: “Fonte di legittimazione del rigore finanziario elevato a dogma assoluto cui ancorare tutti i paesi, fondamento del Fiscal Compact che soffoca con i suoi vincoli aritmetici l’economia e la società del Vecchio Continente.

UN REALISMO CHE FAREBBE BENE ALL’UE DI OGGI

Una costruzione comunitaria permeata di meccanismi coercitivi e dall’ansia ossessiva per le scadenze verso la quale, rimarca il sociologo e presidente del Censis Giuseppe De Rita, Andreotti nutrirebbe grande scetticismo. Troppo lontana l’Ue dalla sua fiducia nei tempi lunghi, dall’assenza del valore dell’appuntamento cruciale, da una dimensione cattolica, romana, convenzionale del tempo. È solo in tale orizzonte, per il politico democratico-cristiano, che il popolo può partecipare alla storia. Ma questo elemento popolare, realista e di senso comune manca nelle attuali istituzioni europee.

(PIZZI NON HA SCOVATO SOLO ANDREOTTIANI A CELEBRARE ANDREOTTI…)

CULTURA DELLA MEDIAZIONE, AL DI LA’ DELLE IDEOLOGIE

La propensione all’ascolto di tutti, comprese le persone più umili, ebbe una trasposizione nella politica internazionale di Andreotti. Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri di Palazzo Madama, ne rimarca i tratti distintivi: “Confronto, mediazione e distensione internazionale accompagnarono l’attività di un politico atlantista pragmatico e privo di griglie ideologiche, capace di affrontare le tensioni della Guerra fredda con scelte apparentemente spregiudicate. A partire dal clamoroso invito del leader palestinese Yasser Arafat alla Camera dei deputati e dalla strategia di attenzione verso il mondo arabo scevra da sentimenti anti-israeliani”.

Metodo analogo, precisa l’ex presidente dell’Aula di Montecitorio, adottò sul piano comunitario quando con una forte convinzione europeista riuscì a prevalere sull’euro-scetticismo di Margaret Thatcher e a fissare termini perentori per la stipula del Trattato di Maastricht. Manifestando al contempo riserve sulla repentina unificazione della Germania e intuendo il rischio di una Ue a trazione tedesca.

IL RICONOSCIMENTO DELL’AVVERSARIA RADICALE

Appartenente a una forza politica protagonista di limpidi scontri con la Democrazia cristiana e che non ha mai fatto sconti all’ex capo del governo ritenendolo uno degli interpreti del “regime partitocratico” italiano, l’ex responsabile degli Affari esteri Emma Bonino spiega di avere imparato molto da un avversario come Andreotti.

Lo ricorda quando nel 1976 volle ascoltare con attenzione le dichiarazioni di voto del minuscolo gruppo radicale in opposizione all’esecutivo di “solidarietà nazionale” tra DC e Partito comunista. Evidenzia il rigore e la disciplina con cui affrontò le due lunghe vicende processuali. Rammenta la sua risposta piena di rispetto in occasione del primo sciopero della fame per riforma della polizia penitenziaria. Ne mette in rilievo la sensibilità nel corso della campagna contro lo sterminio per fame nel mondo.

Ma l’ultimo ricordo di Bonino è il più ricco di significati per chi ha a cuore il futuro dell’Europa: “Alla vigilia della firma del Trattato di Maastricht manifestammo come federalisti denunciando i limiti politici ed economici dell’unificazione monetaria. Andreotti ci ascoltò, consapevole che un paese da solo non può fronteggiare le sfide planetarie”. Una lezione esemplare, rileva la leader radicale, per un Paese che oscilla tra rissa, propensione all’illegalità e conformismo.

(TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI SULL’EVENTO)



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