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Tremonti e Amato duellano, ma non troppo, sul futuro dell’Europa

Le rilevazioni sconfortanti diffuse dall’ISTAT sul calo del Prodotto interno lordo dell’Italia rientrano in un panorama stagnante dell’economia dell’Euro-zona. Nella quale l’unica nazione tuttora in crescita, la Germania, registra un segno positivo dello 0,8 per cento del PIL. Cifra che fino a pochi anni fa non avrebbe spinto nessun analista a parlare di sviluppo.

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COME MUTARE ROTTA

È la riprova palese del fallimento di una strategia che ha elevato il rigore di bilancio a dogma assoluto e intangibile, costringendo realtà eterogenee all’interno di vincoli aritmetici stringenti. E che tocca il cuore di una costruzione economica e monetaria sempre più impopolare nell’opinione pubblica del Vecchio Continente.

Ma se l’orizzonte europeo è inevitabile, verso quale direzione è necessario cambiare l’UE? Ad affrontare un interrogativo di tale rilievo alla vigilia di una tornata elettorale decisiva per l’avvenire delle istituzioni comunitarie sono Giuliano Amato e Giulio Tremonti, protagonisti ieri del dibattito “Quale Europa?” promosso dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

LE COLPE STORICHE DELL’ITALIA

L’Unione Europea, spiega Giulio Amato, è una “realtà a due lentezze” anziché a due velocità come rivelano i dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica. È in un simile panorama che il nostro Paese entra con il suo atavico declino economico e le mancate riforme radicali risalenti ad almeno vent’anni.

Problemi lasciati marcire per lungo tempo: “Mentre l’adozione di una moneta comune, che rende impraticabili valvole di sfogo come la svalutazione competitiva, avrebbe dovuto stimolare l’Italia a produrre meglio e di più, a riorganizzare il proprio apparato statale in maniera efficiente e con meno risorse”. Il ceto politico nazionale, osserva il giurista, si è limitato a subire in ogni comparto un taglio lineare della spesa, finendo per ridurre i servizi pubblici.

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LA RESPONSABILITA’ DELL’EUROPA

Tuttavia, evidenzia l’ex presidente del Consiglio, l’UE non ha compensato gli effetti restrittivi delle politiche di bilancio realizzate nei Paesi membri con una politica sovranazionale di sostegno allo sviluppo. Creando un clima di elevata impopolarità nell’opinione pubblica continentale: “L’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer aveva previsto in tempi non sospetti che l’assenza di un’autentica integrazione politica avrebbe trasformato l’unione delle regole in una realtà ove prevale il più forte”.

LA LACUNA DEI TRATTATI COMUNITARI

Critico tagliente dell’architettura comunitaria è senza dubbio Giulio Tremonti, autore del libro “Bugie e verità” e fautore di una lettura euro-scettica ben diversa rispetto a quella convintamente europeista di Lorenzo Bini Smaghi. A suo giudizio, se l’UE riscuote oggi un consenso così ridotto la colpa è ascrivibile per intero all’élite europea artefice di trattati pervasi da una filosofia positivista nei quali non è scritta la parola “crisi”.

UN MUTAMENTO EPOCALE

La crisi è invece arrivata come una tempesta, provocata dall’irrompere della globalizzazione, dall’introduzione della valuta unica, dalla crisi finanziaria. E ha prodotto una rottura dei paradigmi culturali. Lo dimostra in modo eloquente, rimarca l’ex capo del Tesoro, il robusto intervento pubblico per 800 miliardi compiuto dai governi dell’Euro-zona a favore delle banche coinvolte nella bufera speculativa privata del 2007-2008.

L’UNIFICAZIONE TRADITA

A tutto ciò va ad aggiungersi il problema dei debiti sovrani, esploso nel 2010. Per affrontarlo, ricorda l’ex ministro dell’Economia, i leader dei Paesi membri avevano originariamente prospettato una più accentuata unificazione politica. Un netto trasferimento di sovranità nazionale alle autorità comunitarie in cambio di una piena condivisione del debito tramite l’adozione degli Eurobond – “strumento essenziale per difenderci dalla speculazione” – e un ruolo più attivo della BCE.

Visione che tuttavia “fu abbandonata a favore dell’austerità fine a se stessa, frutto di una sindrome catastrofista portata avanti da Francia e Germania i cui istituti creditizi detentori dei titoli di Stato greci erano sempre più in crisi”. Politica imposta a tutti gli Stati membri e che finì per creare una contrapposizione manichea tra realtà virtuose e nazioni irresponsabili. Con risultati paradossali e inaccettabili: “Perché, grazie al Fondo salva-banche, l’Italia e i suoi correntisti pagheranno per sostenere gli istituti creditizi d’affari francesi e tedeschi”.

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UNA VIA DI USCITA?

Così, ribadisce Tremonti, non si può andare avanti. E nel lungo termine neanche Berlino troverà conveniente proseguire in tale direzione: “È bene che qualcuno ammetta pubblicamente, anche in lingua tedesca, di avere sbagliato”.

Nel frattempo è urgente mutare la rotta. “Recuperando l’impostazione tradita dalle cancellerie europee e rendendo flessibile il cambio della moneta unica, troppo forte, rigida, non adatta alle realtà produttive del Vecchio Continente con l’unica temporanea eccezione della Germania”.

Proposta che trova la condivisione di Amato, ad avviso del quale è prioritaria la riduzione del valore dell’euro da parte della BCE: “L’unica istituzione comunitaria dotata di effettivo potere effettivo al contrario del Parlamento europeo, del tutto privo della facoltà di imporre – e tagliare – le tasse”.


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