L’Occidente è alla disperata ricerca di una soluzione per l’Ucraina che si sta distruggendo sotto i suoi occhi. Vuole evitare sia una guerra civile, sia la frammentazione del Paese. Ben difficilmente quest’ultima potrebbe essere pacifica. Non esistono divisioni chiare. Nei due Oblast del Donbass – quelli orientali di Donetsk e di Lugansk – i referendum dell’11 maggio sulla secessione dell’Ucraina si sono tradotti, secondo i loro organizzatori, in veri e propri plebisciti pro-Russia. Il 90% della popolazione si sarebbe dichiarata favorevole a una soluzione tipo Crimea: quella dell’annessione. Secondo taluni esperti, i favorevoli all’abbandono dell’Ucraina non supererebbero il 30% dei circa 8 milioni di abitanti delle due regioni.
LA SOLUZIONE DI PUTIN
Evitare la guerra civile e la divisione dell’Ucraina non è facile. Troppo sangue è stato ormai versato. I nazionalismi divengono più intensi. Diventa problematica la possibilità di compromesso sull’unica soluzione che mi sembra praticabile se si vuole evitare che l’Ucraina si trasformi in una nuova Bosnia: mantenere l’unità del paese; federalizzarlo, concedendo ampia autonomia alle regioni; garantirne la neutralità fra la Federazione Russa e la NATO/UE. E’ la soluzione suggerita da Putin. Kiev e larga parte dell’Occidente pensano che sia un semplice trucco. La mancanza di fiducia verso Mosca maschera le profonde divisioni esistenti fra gli USA e l’Europa e fra i vari Stati europei fra loro.
L’INTERVENTO MILITARE E I TENTATIVI DI DIALOGO
Ogni possibilità di intervento militare è naturalmente esclusa. Rifornimenti militari a Kiev mi sembrano anch’essi da evitare. Aumenterebbero le probabilità di un bagno di sangue. L’influenza dell’Occidente sul governo provvisorio ucraino, ma anche quella di Mosca sui separatisti filorussi delle regioni orientali e meridionali del paese è molto ridotta. La situazione sembra essere sfuggita al controllo di entrambi. Non è tale da indurli a un negoziato. Per questo sono falliti i tentativi di dialogo fra le parti e di compromesso fatti dall’OSCE e dall’UE.
COME AGISCE PUTIN
Putin ha mantenuto schierati circa 40.000 soldati in prossimità dei confini ucraini. Afferma che interverrebbe per evitare un disastro umanitario. Si diverte a giocare il ruolo del peacekeeper, come aveva fatto in Siria, con la benedizione del Vaticano. Ma anche la sua libertà d’azione è limitata. I separatisti di Donetsk e di Lugansk non hanno accolto la sua richiesta di rimandare i referendum sull’autodeterminazione delle due regioni. Boicotteranno poi le elezioni presidenziali del 25 maggio, a cui, con una delle sue solite mosse a sorpresa, Putin ha meravigliato tutti, sostenendone la piena legittimità.
Un intervento militare non sarebbe né facile né poco costoso, come in Crimea. Dovrebbe essere esteso alle province in cui consistente è la minoranza russofona. Si tratterebbe per Mosca di mantenere il 40% della popolazione ucraina. L’esercito russo dovrebbe poi reprimere movimenti di resistenza dei nazionalisti ucraini. I costi finanziari, umani e politici sarebbero enormi.
NUOVA BENZINA SUL FUOCO
I referendum del Donbass sono stati dichiarati illegali da Kiev e dall’Occidente. Anche Mosca, pur dichiarandoli significativi della volontà del popolo, non li ha riconosciuti legittimi. E’ logico che l’abbia fatto. In Russia, molti degli 86 Oblast vorrebbero maggiore autonomia. Putin sta invece togliendogliela, accentrando tutti i poteri al Cremlino, che ne nominerà i governatori. E’ il contrario di quanto vorrebbe per l’Ucraina. Comunque, i referendum dell’11 maggio hanno gettato nuova benzina sul fuoco. Il nazionalismo è una bestia che si diffonde a macchia d’olio.
IN VISTA DELLE PRESIDENZIALI
Le elezioni presidenziali – che dovrebbero tenersi in tutta l’Ucraina il 25 maggio – aggraveranno le tensioni. Non si comprende bene come possano essere tenute nelle regioni russofone. Le forze armate e di polizia di Kiev sono troppo deboli, demoralizzate e divise per controllare la situazione. Non c’è che attendere il loro risultato.
Verosimilmente, la situazione sarà di stallo. E’ impensabile che le proteste sempre più lamentose o le sanzioni occidentali inducano Mosca a collaborare per la stabilizzazione dell’Ucraina o a non aumentare la “bolletta” del suo gas che soddisfa il 50% dei consumi ucraini. Le sanzioni sinora adottate e anche quelle che saranno prese in futuro non potranno essere molto pesanti. Lo impedisce l’eccessivo divario fra gli oneri che cadrebbero sui vari paesi occidentali. Pertanto, quelle prese sono state solo “cosmetiche”.
COSI’ PUTIN CONSOLIDERA’ IL SUO SUCCESSO
Insomma, Putin ha sinora ottenuto il successo. Per consolidarlo, gli basta attendere per vedere come l’Occidente se la cava. Non può però rischiare una guerra civile. Essa lo costringerebbe a intervenire. Dovrebbe fronteggiare una lunga guerriglia. L’Occidente potrebbe poi forse superare le sue divisioni. Potrebbe allora adottare pesanti sanzioni finanziarie. Potrebbe anche diminuire le importazioni di petrolio dalla Russia. Il gas non verrebbe toccato per anni. Non è sostituibile. Potrebbe esserlo solo da importazioni dall’Iran o di shale gas liquefatto dagli USA. Le esportazioni russe di petrolio possono essere colpite in tempi ridotti. Non è un caso che l’Arabia Saudita abbia dichiarato che, in caso di necessità derivanti dalla crisi ucraina, sarebbe disposta a immettere sul mercato mondiale i tre milioni di barili/giorno, oggi mantenuti in riserva.
LA STRATEGIA DI PUTIN
E’ quindi probabile che Putin usi molta cautela nello “spingere” troppo sull’Ucraina. Una conferma di ciò si trova nella strategia proposta lo scorso marzo da Vladislav Surkov, uno dei più stretti collaboratori del presidente russo. Denominata “strategia della guerra non-lineare” è per molti versi simile a quella della “guerra senza limiti”, teorizzata da due colonnelli cinesi una decina di anni fa. E’ una strategia che si fonda sull’impiego coordinato di molti mezzi: dal nazionalismo etnico e linguistico, alla religione, alle rivolte popolari secessionistiche, all’uso di mercenari e di criminali, al ricatto energetico, agli attacchi cibernetici, alla disinformazione e a una public diplomacy volutamente contraddittoria, volta a disorientare e dividere il fronte avversario. Tale strategia mira a evitare l’impiego diretto della forza militare. Essa va utilizzata solo allo stato potenziale, come avviene per i 40.000 soldati che Mosca continua a mantenere in prossimità del confine ucraino. Infine, a livello più elevato, la strategia non-lineare incorpora la dottrina cosiddetta della de-escalation, firmata dallo stesso Putin nel 1999, quando era segretario del Consiglio Russo di Sicurezza. Essa è basata sulla consapevolezza dell’inferiorità russa nei confronti delle forze convenzionali dell’Occidente. Mosca dichiara che le bloccherebbe colpendole con armi nucleari “sub-strategiche”. E’ un esempio direi “classico” di quello che in strategia è l’uso razionale dell’irrazionalità. Allegria! Avrebbe detto Mike Buongiorno.
LA POSIZIONE DI EUROPA E USA
Europa e USA hanno sopravvalutato (e continuano a farlo) la forza del loro soft power. Nessuno, tanto meno la Russia, li prende più molto sul serio. Il loro prestigio nel mondo si è notevolmente attenuato, per le divisioni, contraddizioni e vuote retoriche dei loro responsabili politici. La Francia, come in altri casi, ha spiazzato tutti. Consegnerà alla Russia le due navi di assalto anfibio tipo Mistral, costruite dai cantieri militari francesi, con buona pace dei polacchi e dei paesi del Mar Nero.
L’ASSENZA DELL’ITALIA
E l’Italia? Assente e irrilevante. Se questo è l’andazzo, tanto varrebbe chiedere a Mosca di collaborare con le sue navi in Mediterraneo all’operazione Mare Nostrum. Potremmo giustificare la nostra richiesta con il fatto che l’Unione Europea ci ha rifiutato ogni sostegno! Sarebbe comunque un buon inizio per la presidenza italiana dell’UE e per “ricucire” i rapporti con i membri orientali dell’Unione, già infuriati dalle nostre ambiguità nel caso ucraino. Si tratta beninteso di una battuta. Non è però molto diversa da quanto affermano coloro che sentenziano che la NATO è obsoleta e che il caso ucraino rafforzerà la politica estera e di sicurezza dell’Europa.