Pubblichiamo un estratto dal report “Gli sviluppi dell’instabilità in Libia” realizzato da Gabriele Iacovino per il Centro Studi Internazionali
Le milizie sono gruppi di combattenti, il cui numero si potrebbe ragionevolmente stimare in circa 300 in tutto il Paese, legati più alle tradizionali appartenenze tribali che alle istituzioni nazionali. Proprio per questo, la stragrande maggioranza delle milizie che si erano formate durante la guerra contro i lealisti di Gheddafi si sono finora rifiutate di cedere le armi al Governo e hanno rigettato qualsivoglia piano di integrazione all’interno delle Forze Armate libiche. Per questo motivo che le istituzioni centrali non sono riuscite ancora a mettere in piedi un Esercito nazionale. Anche perché una cospicua fetta dei fondi destinati dal Governo al rafforzamento delle Forze Armate vengono invece utilizzate dal Ministero della Difesa per finanziare le varie milizie e calmierarle per evitare che compiano operazioni come quelle precedentemente illustrate. In questo modo, i gruppi armati non solo si garantiscono una sicura fonte di finanziamento, ma riescono anche a manipolare la politica libica.
IL FRONTE DELLE MILIZIE
Oltre alla CORL salita ormai agli onori delle cronache per le sue azioni, si può annoverare tra le più importanti milizie, per numero di effettivi e per capacità, la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio, che conta circa 12 battaglioni e possiede un importante arsenale di armi leggere e pesanti, ottenute grazie al controllo di numerose caserme del vecchio regime situate in tutta la Cirenaica. La Brigata, data la sua importanza, è una delle milizie che riceve finanziamenti dal Ministero della Difesa. Vi è poi la Brigata dei Martiri di Abu Salim, milizia composta da ex combattenti jihadisti il cui nome deriva dal carcere di Abu Salim, la struttura dove il regime di Gheddafi era solito internare gli oppositori islamisti. Tra le prime a formarsi durante la rivolta contro il Colonnello, la Brigata è nata sulle ceneri di alcune delle realtà islamiste attive in territorio libico; al momento, tuttavia, si hanno poche notizie circa la sua affiliazione al network jihadista globale. Grazie alla forza e all’importanza che ha raggiunto nel corso della guerra civile, un’altra milizia da annoverare è il Consiglio Militare di Zintan, assurto agli onori delle cronache poiché tuttora detiene, dopo la sua cattura, il figlio del “Raìs” Saif al-Islam. Uno dei suoi leader, Osama al-Juwali, è stato Ministro della Difesa fino a novembre 2012, circostanza che ha fatto della milizia uno dei principali fruitori dei finanziamenti statali, ma che ha causato, parallelamente, i malumori di altre realtà la cui proteste hanno portato alla sostituzione di Juwali. Il Consiglio Militare di Zintan è composto da 5 brigate, la più importante delle quali è la Brigata Mohammed al-Madani, per un totale di circa 4.000 uomini.
L’ANOMALIA DI MISURATA
Un discorso a parte merita la città costiera di Misurata, dove l’autorità centrale del Governo di Tripoli non è assolutamente riconosciuta e che è amministrata come una vera e propria “città Stato”. Qui, tra le altre, è attiva la Brigata Sadun al-Suwayli. Oltre ad aver partecipato all’avanzata verso Tripoli, la Brigata ha guidato l’assalto finale contro Sirte, ultima roccaforte di Gheddafi. Al di là del controllo di Misurata, una parte dei miliziani, rimasta nella capitale, continua ad occuparsi della protezione di alcuni edifici governativi. In questo modo la Brigata garantisce che la propria voce sia ascoltata a Tripoli.
VICINA AL NETWORK QAEDISTA
Qualcosa di diverso è Ansar al-Sharia. Quest’ultima, infatti, non può essere considerata solo una vera e propria milizia perché, nei fatti, è al momento la realtà in Libia più vicina al network del qaedismo internazionale, con legami non solo con la leadership centrale di al-Qaeda in Pakistan, ma anche con tutta la costellazione delle realtà jihadiste regionali, da al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) all’omonima Ansar al-Sharia tunisina. Nonostante le numerose smentite, è lecito sostenere che siano stati proprio esponenti legati ad Ansar al-Sharia ad organizzare e ad effettuare, durante le manifestazioni di protesta dell’11 settembre 2012, il blitz contro il consolato statunitense a Bengasi, nel quale ha perso la vita l’ambasciatore americano in Libia, Christopher Stevens. Più che essere un preciso gruppo, Ansar al-Sharia può essere considerata un ombrello sotto il quale si possono annoverare diverse realtà jihadiste o “khatibe” (brigate), cioè gruppi di miliziani che si rifanno al jihadismo globale di matrice qaedista e che si sono formate in Libia sempre su base tribale e strettamente locale, ma che al contrario delle milizie precedentemente analizzate si rifanno agli ideali del salafismo internazionale.
LA LEADERSHIP DI DERNA
Sicuramente, la spina dorsale di questa realtà è il gruppo di militanti jihadisti facenti capo alla leadership di Derna, villaggio sulla costa orientale libica, a circa 300 chilometri dal confine con l’Egitto. Storicamente, Derna è stato il luogo dove hanno trovato rifugio i leader del Gruppo Combattente Islamico Libico (LIFG) durante la repressione da parte del regime di Gheddafi. I legami tribali in questa regione del Paese hanno permesso al LIFG di sopravvivere negli ultimi anni con una struttura esigua, la cui leadership, però, ha mantenuto sempre i propri obiettivi concentrati sulla lotta contro il regime di Gheddafi. Così, allo scoppio della rivolta, il network del LIFG si è fatto trovare pronto a raccogliere attorno a sé tutti coloro che hanno condiviso l’ideologia jihadista, riunendo miliziani provenienti dalle aree limitrofe così come combattenti tornati in patria per combattere il regime.
L’ADDESTRAMENTO DELLE RECLUTE
Al vertice di Ansar al-Sharia ci sarebbe, tra gli altri, anche Sufyan ben Qumu, un ex detenuto di Guantanamo trasferito nelle carceri libiche nel 2007 e uscito di prigione nel 2010 all’interno del programma di de-radicalizzazione portato avanti da Saif al-Islam Gheddafi. Grazie alla sua formazione nei campi di addestramento qaedisti in Afghanistan, alla fine degli anni Novanta, e alla sua esperienza di combattimento al fianco dei talebani nella prima fase della guerra contro le truppe americane, a Qumu è stato chiesto di portare avanti l’addestramento delle giovani reclute del gruppo. Nonostante si sia più volte dichiarato estraneo ad al-Qaeda, si può ragionevolmente sostenere che Qumu sia stato negli ultimi 30 mesi molto attivo nella propaganda jihadista in Libia e abbia condotto una campagna di assassinii mirati, soprattutto contro gli oppositori di al-Qaeda. Inoltre, esistono forti sospetti che Qumu sia coinvolto nell’attacco al consolato americano a Bengasi.
UNA FIGURA TRASVERSALE
Tra i leader più importanti del panorama islamista vi è, anche, Wisam Ben Hamid, giovane combattente originario dell’area di Sirte. Hamid non può tuttavia essere indicato come un leader jihadista in senso stretto, e la sua resta una figura alquanto trasversale. In primo luogo, poiché intrattiene frequenti rapporti con la stampa libica e il suo è un volto assai noto al grande pubblico del Paese: in questo senso, la sua immagine appare particolarmente lontana da quello che è lo stereotipo del leader jihadista, sfuggente e nascosto per non attirare troppe attenzioni e non essere facilmente localizzabile. In più, poi, Hamid nasce come leader di 2 milizie inizialmente non assimilabili al contesto jihadista, cioè la Katiba al-A’hrar Libya e la Katiba Dir’ Libya, molto attive a Sirte e nella regione desertica, sud-orientale, di Cufra. Con il passare del tempo, la figura di Hamid si è fatta sempre più autorevole, tant’è che attualmente egli è il leader della Forza Scudo Libia, destinataria di finanziamenti diretti del Ministero della Difesa: si tratta di un ombrello che raccoglie numerose milizie, non solo legate all’universo jihadista, presenti in tutto il Paese. La Forza Scudo è organizzata sulla falsariga di un vero e proprio esercito, con 3 brigate strutturate su base regionale che operano nel mantenimento dell’ordine pubblico e hanno ruoli di combattimento.
L’APPREZZAMENTO DELLA POPOLAZIONE
Questa milizia ha sempre avuto un buon apprezzamento da parte della popolazione libica, in particolare grazie alle opere sociali e caritatevoli portate avanti durante e dopo la rivoluzione. Negli ultimi mesi, tuttavia, va notato come la Forza Scudo abbia assunto sempre maggiori poteri, soprattutto nell’area di Bengasi, e come parallelamente sia diventata oggetto di numerose manifestazioni di protesta da parte della popolazione, proprio a causa dei modi con cui i suoi miliziani hanno cominciato ad imporre la propria autorità. Questi atteggiamenti diffusi hanno portato ad un crescente malcontento, sfociato in veri e propri scontri tra la popolazione e la milizia, durante i quali, ad inizio luglio, sono morte circa 27 persone.
FAIDE INTERNE
Non è da escludere che le proteste siano state aizzate da faide interne alle milizie, causate appunto dall’eccessiva crescita della Forza Scudo. È ipotizzabile, altresì, che nel rafforzamento di questa milizia possa avere avuto un ruolo lo stesso Hamid, grazie anche ai suoi contatti con il mondo jihadista. Nel 2011, si era parlato anche della possibilità che lo stesso Moktar Belmoktar, leader storico di AQMI, fosse stato ospite di Hamid a Sirte. Tali rapporti potrebbero esser stati facilitati dalle origini dello stesso Hamid, il quale è di etnia Toubu, una popolazione che abita le regioni desertiche a cavallo tra Ciad, Libia e Niger, dove è molto attivo Belmoktar. Non è da escludere, dunque, che tra i 2 leader siano state poste le basi per una sorta di alleanza, soprattutto in un momento in cui il movimento di Belmoktar, a causa delle operazioni francesi, ha perso le proprie roccaforti nel nord del Mali e molti suoi miliziani potrebbero aver trovato rifugio nelle aree desertiche della Libia meridionale. È possibile che proprio attraverso questi rapporti i movimenti jihadisti abbiano potuto ricostruire i propri campi per l’addestramento delle nuove reclute e per il coordinamento dei miliziani in Libia, dopo aver perso le infrastrutture maliane.