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Perché solo l’Italia può salvare la Libia

La Libia è sempre più nel caos. Da un lato c’è l’ex generale dell’esercito Khalifa Haftar, che in un messaggio trasmesso su Al Arabiya ha dichiarato guerra ai militanti islamici e ha detto che vuole debellare “il terrorismo” in Libia.
Dall’altro l’esecutivo in carica accusa Haftar di stare tentando un colpo di stato, sostenendo perciò che dovrebbe essere arrestato.

Il Paese attende ora lo svolgimento per le elezioni per il rinnovo del parlamento, che la commissione elettorale libica ha fissato il 25 giugno. Il governo libico dal 2011 – anno dell’uccisione dell’ex presidente Muammar Gheddafi – stenta a imporre il proprio controllo su tutto il territorio nazionale.

Elezioni forse non sufficienti a riportare la stabilità nella nazione, ma necessarie secondo Lia Quartapelle (Pd), componente della commissione Affari Esteri della Camera e ricercatrice presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), che in una conversazione con Formiche.net spiega come la comunità internazionale può aiutare a tirare fuori la Libia dallo stallo democratico in cui si trova.

Onorevole, che cosa fa e cos’altro dovrebbe fare l’Italia per risolvere la crisi libica?
Il nostro Paese deve continuare a battersi per una soluzione di carattere politico. La situazione sul terreno sta peggiorando. La nomina come inviato speciale dell’Italia per la Libia di Giuseppe Buccino, ambasciatore a Tripoli, è un segnale della grande attenzione che Roma rivolge alla crisi libica. La presenza di un diplomatico che ha già rapporti consolidati con il territorio consentirà un più efficace coordinamento con tutti gli interlocutori. L’Italia deve poi continuare e se possibile intensificare l’addestramento delle Forze Armate di Tripoli, ancora insufficienti per garantire la sicurezza interna.

Che tipo di intervento immagina per pacificare il Paese?
Come hanno già detto il premier Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Mogherini è importante che le Nazioni Unite prendano in mano la situazione. Al momento in Libia si stima la presenza di 12mila milizie che si fanno la guerra tra loro e remano contro l’instaurazione di un processo democratico. Il Paese va ricostruito dalle fondamenta, a partire dalle sue istituzioni, praticamente inesistenti sotto Gheddafi.

Che ruolo deve avere invece l’Unione europea?
Nella crisi libica c’è anche una grande responsabilità di Francia e Regno Unito, che decisero di entrare nel Paese senza avere una soluzione per il dopo intervento, dimostrando di non aver appreso le lezioni di Iraq e Afghanistan. L’Unione europea deve recuperare terreno evitando appunto gli errori fatti con l’intervento armato, riflettendo sul fatto che non ci sono buoni e cattivi, ma che le vicende in quella porzione di mondo che è il Mediterraneo – e la Libia non fa eccezione – sono complesse e come tali vanno affrontate.

Quale invece il compito degli Usa?
Washington deve cercare di far lavorare insieme tutti gli attori regione. È vero, gli Stati Uniti sostengono rapporti molto diversi con i Paesi dell’area – dall’Iran all’Arabia Saudita -, ma hanno la responsabilità di essere garanti di un dialogo.

C’è disaccordo a livello internazionale sul futuro della Libia?
Non vorrei che si dimenticasse quanto accaduto in Somalia negli ultimi dieci anni, Dove da un lato c’era chi, come l’Italia, premeva per una soluzione politica. in Somalia questo significava rompere il fronte islamista, dividendolo tra quello moderato e quello radicale e terrorista; dall’altro chi aveva un approccio più securitario e muscolare. Le conseguenze delle divergenze internazionali sulla Somalia sono ben note: finché si è parlato solo di sicurezza e terrorismo e non c’è stata la volontà di trovare una via d’uscita anche politica, la Somalia non ha avuto soluzione. Oggi in Libia, come in Somalia qualche anno fa, al nostro Paese è stato affidato dal G8 il ruolo di mediatore, che non può limitarsi all’organizzazione di conferenze.se a livello internazionale si sceglie di avere un mediatore significa che le proposte dell’Italia devono essere ascoltate e seguite. La Libia non va divisa, ma va aiutata a rialzarsi.

In questo quadro il generale Haftar può essere considerato un interlocutore utile per l’Occidente?
Credo che questa sia una fase da affrontare con estrema cautela, nella quale sarebbe preferibile non prendere le parti di nessuno. Chiunque si affaccia sullo scenario libico, anche con una relativa predominanza di forze, rappresenta solo uno spicchio delle istanze e delle sensibilità di cui tener conto per costruire una nazione in cui tutti si sentano a casa.

La caduta di Gheddafi ha prodotto per l’Italia più effetti negativi o positivi? E chi sta pagando il prezzo più alto per l’improvvisa instabilità del Paese?
Chi sta pagando di più in questo momento è il popolo libico, che vive nell’incertezza e con prospettive complicate. Detto ciò, la caduta di Gheddafi più che avere conseguenze negative consegna al nostro Paese una forte responsabilità sul futuro della Libia. Ci sono anche interessi economici che ci riguardano, ma questi vanno inscritti nella nostra capacità di trovare una soluzione al dramma che vivono i cittadini del Paese nordafricano e all’instabilità che minaccia la regione.



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