Al Consiglio superiore della magistratura è finito il primo tempo dello scontro che vede contrapposte toghe di primo piano nel Palazzo di Giustizia di Milano. E che rischia di danneggiare le attività investigative sulla “cupola” all’origine di un presunto traffico di tangenti e relazioni illegali per l’attribuzione di un gran numero di appalti in vista dell’Expo 2015.
ACCUSE PESANTI
La prima e la settima Commissione del CSM, competenti per le incompatibilità e i trasferimenti e per l’organizzazione degli uffici giudiziari, hanno posto fine all’attività istruttoria sulle accuse contenute nell’esposto presentato a Palazzo dei Marescialli dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo – alla guida del pool reati contro la pubblica amministrazione – riguardo la “gestione irregolare” e la sottrazione di rilevanti fascicoli investigativi che sarebbero state operate dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati. La scelta è stata presa con il solo voto contrario del togato di Magistratura indipendente Antonello Racanelli.
Tra le contestazioni concernenti lo “scippo” di indagini e processi spicca quella sul Rubygate, che venne assegnato alla Direzione distrettuale anti-mafia capeggiata da Ilda Boccassini, fra i protagonisti dell’inchiesta Mani Pulite. Mentre le critiche sull’anomalia di alcune direttive toccano il “temporeggiamento” nell’iscrizione dell’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni sull’ipotetico pagamento di mazzette ad opera dei vertici dell’ospedale San Raffaele, e del presidente della Provincia di Milano Guido Podestà per la vicenda delle false firme a supporto del “listino” del Popolo della libertà in occasione del voto regionale del 2010.
COMPORTAMENTO POLITICO?
Scelte che agli occhi del procuratore aggiunto riflettono una valutazione discrezionale da parte del capo dell’ufficio, di carattere “politico” più che giurisdizionale. Attorno alle quali è aumentata la tensione tra le mura del Palazzo di Giustizia.
A difendere con veemenza Bruti Liberati, in audizione di fronte all’organo di autogoverno della magistratura, è stato Francesco Greco, capo della sezione crimini finanziari: “Nelle procure la flessibilità, i rapporti informali e la delega orale costituiscono l’ABC”.
Un’altra toga di spicco come Ferdinando Pomarici, a lungo attivo nella ricerca delle responsabilità sul terrorismo degli anni Settanta, ha ritenuto invece “anomalo il conferimento a Boccassini dell’indagine sulla vicenda Ruby”. E si è rivolto a Bruti così: “Edmondo, tu prendi il testimone di grandi procuratori quali Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio, Manlio Minale. Devi continuare con quello stile”.
UNA TESTIMONIANZA DI RILIEVO
A riprova del ruolo esercitato dal Rubygate nel conflitto in corso è la scelta, compiuta dal Consiglio superiore, di ascoltare Alberto Nobili, procuratore aggiunto e referente del pubblico ministero che aveva svolto le indagini iniziali sulla giovane marocchina: Antonio Sangermano.
Nobili ha avvalorato la versione fornita da Robledo, spiegando di essersi limitato a “prendere atto” della decisione assunta da Bruti di affidare il fascicolo a Boccassini. Atto su cui “non venne interpellato in via preventiva”. Il capo della Procura aveva al contrario parlato di “consenso” alla diversa assegnazione dell’inchiesta sulle “notti ad Arcore”.
TEMPI INCERTI PER LA DECISIONE DEL CSM
Terminata la fase istruttoria degli accertamenti sulla fondatezza dell’esposto, il calendario prevede un allungamento dei tempi prima del giudizio di Palazzo dei Marescialli. La settima Commissione si riunirà in seduta straordinaria martedì, quando potrebbe formulare le conclusioni da proporre al plenum del Consiglio. La prima Commissione è convocata nei primi giorni di giugno.
Nelle prossime sedute matureranno le scelte dei due organismi ristretti. Poi i relatori delle pratiche, attenendosi alla volontà maggioritaria dei giudici, formuleranno le loro proposte e redigeranno le motivazioni, per trasmettere le delibere al voto del CSM. Allora soltanto si conoscerà il destino professionale dei due protagonisti di uno scontro inedito nel capoluogo lombardo.
SOLUZIONE PILATESCA?
Lo sbocco finale della controversia potrebbe essere l’archiviazione dell’iniziativa, con l’eventuale trasmissione degli atti al procuratore generale presso la Corte di Cassazione Gianfranco Ciani, già al lavoro per valutare eventuali rilievi disciplinari. A scriverlo, sul Corriere della Sera, è una giornalista informata sulle dinamiche del Palazzo di Giustizia come Virginia Piccolillo.
L’approdo conclusivo, scrive la cronista giudiziaria, potrebbe prevedere una soluzione di compromesso, “priva di sanzioni ma ricca di rilievi”. Una conferma indiretta arriva dalle parole pronunciate da Ciani: “Stiamo facendo gli accertamenti di routine. I tempi non sono prevedibili”.
LA RICHIESTA DI FARE PRESTO
Il rallentamento dei ritmi non è stato visto con favore da 62 toghe attive nella Procura. Firmatarie di un documento finalizzato a negare “la rappresentazione mediatica di un ufficio dilaniato da conflitti interni”, e per chiedere di “chiudere in fretta le pratiche aperte dall’esposto contro Bruti Liberati”.
L’iniziativa, promossa da Ferdinando Pomarici e Armando Spataro, ha trovato l’adesione di pm come Greco, Nobili, Pietro Forno, Fabio De Pasquale, Grazia Pradella e Claudio Gittardi, uno dei titolari dell’inchiesta su Expo 2015. Tutti compatti nel rifiutare di schierarsi nello scontro in atto ai vertici dell’ufficio, e nel rivendicare “la rigorosa attuazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale”.
LA SCELTA DEI PROCURATORI
Ma vi è una ragione ulteriore e più profonda in cui può essere rinvenuta la matrice del conflitto scoppiato nel Palazzo di Giustizia. Perché nelle stesse ore il Consiglio superiore della magistratura ha proceduto a nomine strategiche dei nuovi vertici di importanti uffici giudiziari: Armando Spataro guiderà la Procura di Torino, Giuseppe Creazzo prenderà le redini di quella di Firenze, Giuseppe Volpe sarà titolare dell’ufficio di Bari.
Figure di indiscusso spessore professionale e investigativo, scelte dall’organo di autogoverno tramite criteri apertamente “politici”. L’individuazione e l’approvazione delle loro candidature è stata realizzata grazie a un accordo fra precise componenti della magistratura associata: la corrente “progressista” di Magistratura democratica e il gruppo centrista di Unità per la Costituzione, alleati di ferro nel governo dell’ANM.
UN ANTAGONISMO POLITICO-GIUDIZIARIO
Un “cartello di centro-sinistra” cui non a caso si sono aggiunti i componenti “laici” del CSM designati dal Partito democratico e il vice-presidente Michele Vietti, a lungo parlamentare dell’UDC. Un asse contro cui si sono espressi i membri “laici” del centro-destra e i rappresentanti togati di Magistratura indipendente, realtà allergica agli orientamenti ideologici e al giustizialismo militante, gelosa del valore dell’autonomia di giudici e pm da ogni valutazione “politica”. E che è in ascesa in vista del rinnovo del Consiglio previsto a giugno.
PAROLE ILLUMINANTI
Lo scontro alla Procura di Milano come riflesso, preludio e eco del conflitto fra componenti rivali nell’universo giudiziario? L’interrogativo non trova risposte adeguate. Ed è singolare che un giornale non certo sospettabile di ostilità verso le toghe come Repubblica, in un articolo a firma di Liana Milella parli di “sfida mortale tra destra e centro-sinistra della magistratura” e di un CSM che “rischia di andare fuori controllo”.
Ma il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari si spinge oltre. Per far comprendere il malumore che serpeggia tra le toghe verso il predominio dei “cartelli tra correnti”, che determinano l’attribuzione di ruoli dirigenziali vanificando l’effettiva libertà di voto dei singoli consiglieri, dà voce a un autorevole pm del Tribunale di Roma: l’ex segretario dell’ANM Giuseppe Cascini. Toga storica di Magistratura democratica – scrive la cronista giudiziaria – che denuncia “veleni” e ipotizza “accordi di bassa cucina tra il suo gruppo e Unicost per scegliere i nuovi procuratori”.