Raramente il centro-destra italiano era apparso così lacerato, liquefatto, impotente. Un mondo che 6 anni fa vinceva trionfalmente le elezioni politiche sfiorando la maggioranza assoluta dei voti oggi è il grande sconfitto di una tornata europea spietata nei numeri. Anche se si presentassero unite, formazioni in caduta libera o in lotta per un’ardua sopravvivenza verrebbero sopravanzate di 10 punti dal Partito democratico di Matteo Renzi.
Per capire se e in che forma la galassia conservatrice-moderata può risorgere dalle macerie post-elettorali, Formiche.net ha intervistato Francesco Perfetti, saggista, editorialista e professore di Storia contemporanea all’Università LUISS di Roma. Studioso che sull’orizzonte di un centro-destra popolare e unitario, conservatore nelle radici culturali e sui temi antropologici ma riformatore sul terreno economico-sociale, aveva espresso in tempi non sospetti un profondo scetticismo.
Qual è la ragione di una débâcle che ha investito l’intero centro-destra ad eccezione della Lega Nord?
Si tratta di una delusione di fronte al frazionamento delle forze alternative al PD. È una motivazione che prevale sull’incapacità di far intravedere una rifondazione unitaria dello schieramento moderato, e sul fascino esercitato da Matteo Renzi.
Il Partito democratico ha attratto molti elettori dell’ex Popolo della libertà?
Non penso che fette consistenti di cittadini di centro-destra siano passate nelle file del PD. Il cui 40 per cento di consensi va calcolato sul 60 per cento del corpo elettorale effettivo. Potremmo affermare che in termini assoluti il successo del Nazareno è frutto di una macchina organizzativa in grado di portare alle urne tutta la base del partito e in ogni regione.
Ma di fronte a una simile corazzata il centro-destra doveva presentarsi così frammentato?
Le sue divisioni non attengono soltanto alla conservazione delle singole componenti, ma a radicali contrapposizioni e alla notevole eterogeneità di ricette su temi forti. Tra cui la scelta fra l’adesione alla famiglia popolare europea e le posizioni euro-scettiche.
La sostanziale marginalità di Silvio Berlusconi ha costituito un handicap elettorale?
Può aver giocato un peso relativo. La sua leadership è appannata e sottotono sui contenuti, tutta fondata su messaggi difensivi in funzione anti-Grillo. Mi chiedo quale genuino interesse abbia Forza Italia ad approvare una riforma elettorale che la condanna alla sconfitta. Allo stesso modo il quadro scaturito dalle urne è preoccupante per l’esigenza di governabilità.
Perché?
Nonostante il grande successo del Partito democratico, il tracollo di Scelta Europea e il salvataggio in extremis del Nuovo Centro-destra non garantiscono un assetto politico stabile. Si tratta di forze condannate a scomparire o a esercitare un potere di ricatto soprattutto a Palazzo Madama.
Nel versante conservatore-moderato è necessaria una rottamazione in stile Renzi?
Sì, ma chi la realizza? Allo stato attuale non vedo figure dotate del carisma sufficiente per aggregare energie nuove e dirompenti su un progetto vincente. Né capaci di subentrare all’ex Cavaliere.
Potrebbe essere Marina Berlusconi l’ancora di salvataggio del centro-destra in pieno naufragio?
Forse. Ma si tratta di valutare che grado di carisma abbia la presidente di Mondadori. Tralasciando il ragionamento dinastico, un’outsider potrebbe rappresentare un elemento innovativo e aggregante. Ma anche lei avrebbe bisogno di una legittimazione popolare attraverso elezioni primarie autentiche, aperte a tutti gli aspiranti leader dello schieramento moderato.
L’orizzonte deve essere un’alleanza plurale o un’aggregazione unitaria?
Resto perplesso sulla percorribilità di una formazione unica del centro-destra. Perché non vedo da chi possa partire l’iniziativa per costruirla. Assodato che Lega Nord e Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale hanno escluso la possibilità di un percorso condiviso senza scelte radicali contro l’Unione monetaria, le uniche forze in grado di promuoverlo sono FI e NCD. Ma il confronto fra i due partiti è arduo. E i pasdaran “azzurri” non permetterebbero ad Angelino Alfano di giocare un ruolo centrale nel processo di aggregazione.
Così Renzi rischia di coagulare attorno al PD un gran numero di consensi moderati e liberali.
Non credo. Nell’adesione al premier hanno pesato misure contingenti come gli 80 euro previsti dal provvedimento fiscale, e la speranza alimentata da promesse-annunci sulle riforme messe in cantiere. Ma leggendo in filigrana i suoi interventi, il capo del governo appare lontano dalla cultura liberale.
Gran parte dell’universo progressista lo accusa di aderire a un orizzonte liberale-liberista.
L’ex primo cittadino di Firenze proviene dal mondo dei cattolici di sinistra. E non possiede una forza di attrazione politica che vada oltre l’indubbia capacità comunicativa e il suo carisma. Un limite che emergerà quando, per trovare coperture finanziarie certe alle misure economiche preannunciate, sarà costretto a compiere scelte impopolari. Con il pericolo Grillo sempre in agguato.
Il Movimento Cinque Stelle non è stato neutralizzato dal trionfo del PD?
È stato temporaneamente esorcizzato. Ma il premier e il suo entourage sbaglierebbero a cantare vittoria. Tuttora il M5S gode del consenso di un quinto dell’elettorato, e potenzialmente di un enorme bacino di voti. Il comico ligure ha compiuto negli ultimi giorni di campagna errori strategici di comunicazione. A partire dalla partecipazione a Porta a Porta, in palese contro-tendenza con la tradizione dei penta-stellati. Fino alla proposta del “processo pubblico a politici, imprenditori, giornalisti”, che gli ha alienato moltissimi favori e simpatie.
Forza Italia è condannata a vivere da spettatrice un bipolarismo Renzi-Grillo?
No. A patto di recuperare lo spirito originario del 1994, che abbracciava una pluralità di culture politiche spaziando dal cattolicesimo al liberalismo più avanzato. E che animò un’ampia aggregazione di differenti ceti sociali a cominciare dal mondo delle partite IVA. Realtà che domenica non è andata a votare.