Adesso che il panorama partitico è stato ridisegnato dalle urne europee, riuscirà Matteo Renzi ad accreditarsi come l’alternativa alla linea rigorista incarnata da Angela Merkel? E la sua clamorosa vittoria costringerà le forze del centro-destra a una rifondazione in grado di rinnovare gli attuali vertici responsabili di scelte fallimentari?
Formiche.net ha rivolto tali interrogativi a Emanuele Macaluso, spirito critico della sinistra fin dai tempi delle lotte per la terra ai contadini nella Sicilia del dopoguerra, figura di spicco nella storia del Partito comunista italiano e fautore di un suo robusto ancoraggio al socialismo europeo. Al pari dell’amico fraterno Giorgio Napolitano.
L’affermazione elettorale del PD di Matteo Renzi contribuirà ad archiviare l’austerità finora egemone nell’UE?
È necessario valutare gli equilibri politici che andranno a crearsi nelle istituzioni comunitarie e nell’Assemblea di Strasburgo. Nella quale un Partito popolare con una maggioranza risicata vede alle proprie spalle il PSE e una miriade magmatica di piccoli gruppi ostili all’Euro-zona. Sarà fondamentale il tipo di dibattito e scontro che si aprirà nelle due grandi famiglie politiche.
Vede i margini per un confronto aperto e incisivo?
All’interno del PPE le componenti spagnole e di altri Paesi sono pronte a mettere in discussione la linea del rigore assoluto. Mentre nel Partito socialista, oltre a Renzi è il capo dello Stato francese a chiederne il cambiamento. Potrebbero rivelarsi cruciali le scelte del Labour britannico e del PSOE iberico.
Il voto europeo ha realizzato il progetto promosso da Walter Veltroni di un PD a vocazione maggioritaria?
Non lo so. All’indomani della clamorosa vittoria, la priorità per il PD è ridefinire una strategia politica, trasformandosi in autentico partito da aggregato di forze politico-elettorali. Il Nazareno ha usufruito e beneficiato di un massiccio afflusso di consensi riversati da un gran numero di cittadini che volevano porre un argine al populismo di Beppe Grillo. Persone che in parte provengono dal centro-destra. Un fenomeno analogo fu registrato nell’aprile 1948, quando la paura della vittoria comunista filo-sovietica aggregò un bacino eterogeneo di elettori contribuendo al trionfo della DC.
È realizzabile una “Leopolda di centro-destra”?
Non vedo le figure e i presupposti adeguati per un’auspicabile riorganizzazione democratica della destra in un orizzonte europeo, con un robusto ancoraggio ai partiti conservatori occidentali.
Per quale ragione?
Le elezioni europee hanno confermato che Silvio Berlusconi, un tempo risorsa per il centro-destra, ora ne è diventato la zavorra. L’ex Cavaliere resta interessato ai propri interessi aziendali, cui ritiene funzionale il suo gruppo di fedelissimi in Parlamento. E non pensa di porre all’ordine del giorno il suo ritiro dalla scena pubblica. Con un leader politicamente finito non è pensabile rilanciare uno schieramento con ambizioni di governo.
Marina Berlusconi potrebbe promuovere la sfida per la guida dei moderati?
La presidente di Mondadori è la figlia del fondatore di Forza Italia. Nell’eventualità di un suo ingresso nel palcoscenico pubblico si affermerebbe una logica politica ereditaria nell’ottica di un partito familiare.
Ritiene possibile la ricomposizione di un’alleanza tra le componenti del centro-destra?
No. La Lega Nord porta avanti strategie razziste e caldeggia l’abbandono dell’euro, in piena sinergia con il Front National. La politica prospettata dal Nuovo Centro-destra è agli antipodi. Il problema fondamentale concerne l’identità di NCD, Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale e soprattutto Forza Italia, che non può restare appesa alle sorti di Berlusconi. Un salto di qualità potrebbe esservi con elezioni primarie di coalizione cui ha fatto riferimento Raffaele Fitto.
La sconfitta dei Cinque Stelle potrebbe accelerare le dimissioni del capo dello Stato?
Non vi sarà alcuna accelerazione. Nulla è cambiato rispetto a quanto Giorgio Napolitano ha affermato alla luce del sole. Il suo ritorno al Quirinale ha l’obiettivo di accompagnare e garantire il percorso di riforme elettorali e istituzionali. Una volta portato a compimento, il Presidente della Repubblica rassegnerà le dimissioni.