Trivellare in Alto Adriatico sarà possibile “se verranno rispettati tutti i parametri ambientali“.
A dirlo è stato il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti, in un’intervista di Alessandro Farruggia pubblicata oggi dal Quotidiano Nazionale.
LE PAROLE DI GALLETTI
La decisione della Croazia di installare 14 piattaforme di estrazione – si legge nell’articolo – riapre una partita che sembrava chiusa alla fine degli anni ’90 con la sostanziale moratoria italiana. L’Italia si spacca tra favorevoli e contrari, tra cui si annoverano gruppi ambientalisti e frange di politici locali; un destino analogo a tante opere infrastrutturali come la piattaforma Ombrina Mare di Medoilgas o il gasdotto Tap in Puglia, che come denunciato dal country manager Giampaolo Russo rischia anch’esso di migrare nel Paese dell’ex Jugoslavia.
“Il mio – spiega Galletti – non è il ministero del ‘no’, dei veti a prescindere. È il ministero dello sviluppo sostenibile“. Per questo, sulla possibilità di estrarre petrolio e gas dall’Alto Adriatico, il ministro sottolinea di non essere “né favorevole né contrario“. Io, argomenta, “applico la legge“, tra “più stringenti d’Europa, molto severa. E sia chiaro che io ritengo che sia giusto così. Entro le 12 miglia dalla costa e dalle aree marine protette nessuno può trivellare, e già questa è una garanzia assoluta“. Poi, però, aggiunge, “vediamo se ci sono le condizioni per estrarre altrove“.
Infine, al giornalista, che gli ricorda che nel 1999 la Commissione impatto ambientale del suo ministero scrisse “che per il progetto di coltivazione Alto Adriatico non sia dimostrata la compatibilità ambientale“, Galletti risponde: “Io mi atterrò alle istruttorie condotte adesso. Con la Via oggi i pareri vengono dati sui singoli progetti, non sull’area nel complesso. Quindi sono più dettagliati. Ripeto: prima di ogni prospezione si dovrà richiedere la Via, e per per le piattaforme servirà l’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale“.
L’Italia, dunque, non vuole sacrificare le sue risorse energetiche sull’altare della sindrome Nimby (“non nel mio giardino”), ma continuerà a lasciarle “in naftalina” solo in presenza di motivati rischi ambientali.
L’ALLERTA DI PRODI
A riaccendere il dibattito sull’immobilismo e i veti incrociati, che sbarrerebbero la strada a investimenti energetici nella Penisola, era stato lo scorso 18 maggio l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, che in un editoriale pubblicato sul Messaggero chiedeva: perché importare petrolio e metano invece di aumentare la produzione interna?
“Ci troviamo – ha scritto il professore ed economista – in una situazione curiosa, per non dire paradossale, che vede il nostro Paese al primo posto per riserve di petrolio in Europa, esclusi i grandi produttori del Mare del Nord (Norvegia e UK). Nel gas ci attestiamo in quarta posizione per riserve e solo in sesta per produzione. Abbiamo quindi risorse non sfruttate, unicamente come conseguenza della decisione di non utilizzarle. In poche parole: vogliamo continuare a farci del male“.
IL RICHIAMO DEL MINISTRO GUIDI
Parole che hanno trovato concorde il ministro dello Sviluppo economico del governo Renzi, Federica Guidi, che giovedì scorso dal palco dell’assemblea di Confindustria ha rivolto l’invito a “dire basta alla dilagante cultura anti-imprenditoriale. Basta alla criminalizzazione del profitto“.