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Perché i manager possono essere il valore aggiunto per la rinascita economica

L’universo imprenditoriale italiano deve mettere in gioco e superare la sua fisionomia familiare per aprirsi a una moderna cultura manageriale. E i dirigenti di azienda oggi espulsi dal mercato produttivo possono reinvestire competenze preziose e risorse rilevanti nello sviluppo delle PMI e delle start-up.

È questa la duplice sfida lanciata nel convegno  “Esperienza e competenze manageriali come opportunità di crescita per le PMI”, promosso dall’associazione Il Rottamatore presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma.

Cambiare per rilanciarsi

Una trasformazione innanzitutto di stampo culturale, spiega il giornalista ed ex direttore del Sole 24 Ore Ernesto Auci, tanto più necessaria se pensiamo che i 7 anni di crisi economica hanno provocato un crollo del 27,5 per cento della produzione industriale italiana.

Cambiamento richiesto soprattutto al tessuto di piccole e medie imprese, che non soffrono soltanto di una carenza di capitalizzazione pari a 200 miliardi e di regole contrattuali e lavorative onerose, ma hanno bisogno di nuove professionalità manageriali oggi disperse sul mercato.

UN PATRIMONIO INESTIMABILE

Nel nostro paese, ricorda il presidente di Federmanager Giorgio Ambrogioni, 17mila imprese non artigiane presentano al proprio interno un dirigente aziendale. Ma il potenziale complessivo raggiunge le 200mila unità: “Segno di un capitalismo familiare che deve far riflettere”.

Sull’altro versante esistono 35mila “manager atipici” privi di un ruolo operativo e che semplicemente “si arrangiano”. Si tratta di persone attorno ai 50 anni, laureate e preparate, spesso ingegneri esperti in tecnologie e proiezione internazionale delle imprese, con un patrimonio enorme di conoscenze ideali per lo sviluppo delle PMI e meritevoli di essere reinserite nel mercato produttivo. È qui il “paradosso italiano” che ostacola competitività e crescita del tessuto industriale del nostro paese.

UNA RIVOLUZIONE CULTURALE

Per questo motivo è necessario avvicinare richiesta e offerta di competenze manageriali: “Bisogna superare il limite culturale che frena l’assunzione di dirigenti esterni alla proprietà. E promuovere con tali figure rapporti lavorativi flessibili, conformi alla voglia di sperimentare tipica del piccolo e medio imprenditore. Il quale deve fidarsi di un manager credibile, pronto a investire risorse proprie nell’azienda che va a dirigere”.

Se potessimo “rivendere” a Paesi in via di sviluppo il capitale professionale oggi in libera uscita in Italia, precisa Carlo Bassi – amministratore della società del Gruppo 24 Ore BacktoWork24 attiva nel favorire l’incontro tra risorse umane e risparmio privato per far crescere le piccole e micro imprese – essi troverebbero “il petrolio”.

PAROLA D’ORDINE: DEFISCALIZZARE

Visto che – osserva Bassi – le aziende sono costrette ad aprirsi a nuove capacità manageriali e i dirigenti dovrebbero scommettere sulle realtà produttive emergenti anche con denaro proprio, il governo potrebbe ridurre le tasse sull’investimento della liquidazione dei manager in piccole aziende innovative.

Proposta che trova concorde Sergio Galbiati, presidente dell’azienda micro-elettronica LFoundry, creata dopo aver rilevato una parte della multinazionale Micron Technology Italia di cui era stato General manager e che aveva scelto di abbandonare il nostro paese.

CREDITO CORAGGIOSO E INNOVATIVO

Rispetto al vecchio modello di sviluppo fondato sull’immissione massiccia di fondi pubblici gestiti dalla politica con metodi in buona parte clientelari, rimarca l’imprenditore, è bene utilizzare le risorse private limitate puntando su standard produttivi di eccellenza: “Ma serve un assetto creditizio capace di investire con coraggio in progetti innovativi anche nei momenti più complessi dal punto di vista economico”.

Richiesta che trova riscontro nel ragionamento di Giovanni Pontiggia, presidente di Iccrea Banca Impresa specializzata nell’accompagnare la nascita di piccole e medie imprese. Una rete di 400 istituti finanziari diffusi sul territorio nazionale e attenti alle esigenze produttive locali.

Più che mai vitale in presenza di PMI sempre meno capitalizzate, poco propense a investire in ricerca e innovazione, a puntare sulla diversificazione dei prodotti. Per le quali, rileva il banchiere, Stato e regioni dovrebbero utilizzare in forma mirata e intelligente il Fondo centrale di garanzia mentre gli istituti creditizi dovrebbero analizzare la validità del progetto industriale sottostante alla richiesta di risorse.

NO A UNO SVILUPPO ASSISTITO

L’esigenza di compiere un salto culturale è messa in luce dal responsabile del Lavoro e Welfare Giuliano Poletti, favorevole a prendere in esame misure a vantaggio del reinserimento produttivo dei dirigenti: “Per ricostruire un’Italia delle opportunità e non della paura di rischiare, delle piccole e grandi rendite, della mancanza di responsabilità, bisogna superare un doppio pregiudizio.

Il primo, radicato nel mondo sindacale, per cui l’impresa è ritenuta “luogo dello sfruttamento del lavoro”. Il secondo, presente nell’universo imprenditoriale, che la considera “appannaggio esclusivo del titolare, riluttante a coinvolgere manager esterni”.

Per favorire la partecipazione consapevole dei lavoratori alle performance dell’impresa, l’ex presidente della Lega delle Cooperative reputa fondamentale promuovere uno sviluppo economico non assistito e alterato dalle risorse pubbliche.

SEMPLIFICARE LE REGOLE

La ricetta prospettata dal governo non passa per l’incremento di “regole sostitutive della responsabilità personale, obblighi e ostacoli”, bensì per la rimozione del “groviglio insormontabile di freni alla realizzazione della logica sinergica impresa-lavoro: ginepraio che produce inevitabilmente fenomeni di corruzione”.

A suo giudizio soltanto così sarà possibile colmare il dualismo del mercato tra aziende con più e meno di 15 lavoratori: realtà nettamente separate per norme lavorative, ambientali, sociali, sanitarie che ostacolano la crescita dimensionale delle aziende.

È in tale orizzonte, evidenzia il ministro del Welfare, che va a inserirsi la riforma della pubblica amministrazione e una legge delega per mettere a punto un nuovo, semplice e moderno Codice del lavoro. Testo con “poche precise forme contrattuali adeguate a una giusta e ragionevole flessibilità”. Ma che per ora non presenta riferimenti al contratto unico con tutele crescenti nel tempo prefigurato in versioni differenti da Pietro Ichino e Tito Boeri.

MOBILITARE IL RISPARMIO PRIVATO

Altro pilastro ritenuto essenziale dall’esponente dell’esecutivo, per affermare un assetto imprenditoriale innovativo risolvendo le storiche difficoltà nell’accesso al credito, è rimettere in moto il risparmio privato. Compreso quello previdenziale, orientato in gran parte verso i titoli di Stato e il patrimonio edilizio. Una mole enorme di risorse che Poletti punta far transitare verso gli investimenti produttivi. Anche se evita di specificare modalità e strumenti per incoraggiare tale mobilitazione di fondi.


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