Dopo una lunga trattativa i ministri dell’Ambiente europei sono giunti a un’intesa su un nuovo regolamento che attribuirà per la prima volta agli Stati membri il potere di vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul proprio territorio, anche se approvati al livello comunitario.
Il prossimo passo per il Consiglio dell’Ue sarà il raggiungimento di un accordo con il Parlamento europeo, che si è già espresso sul regolamento in prima lettura. Il pronunciamento avverrà sotto la prossima presidenza di turno italiana.
COSA CAMBIA
Il testo – spiega il sito dell’Istituzione – prevede che, durante la fase di approvazione comunitaria per la coltivazione di un nuovo ogm, gli Stati membri possano chiedere di escludere interamente o parzialmente il proprio territorio dall’area geografica per la quale verrà concessa l’autorizzazione. In questo caso, la Commissione europea chiederà all’impresa produttrice di ogm di escludere dal proprio mercato la Nazione che ne ha fatto richiesta. Dettaglio importante, aggiunge Beda Romano sul Sole 24 Ore, “il singolo Paese potrà poi decidere sulla base di nuove e obiettive circostanze di introdurre limiti fino a due anni dopo la concessione dell’autorizzazione da parte della Commissione europea“.
L’accordo, rimarca ancora il quotidiano di Confindustria, è stato “permesso proprio dal benestare della Francia e della Germania che hanno apprezzato il margine di flessibilità, tanto che Berlino ha già annunciato che intende bloccare l’uso di ogm sul suo territorio“.
COM’È ADESSO
Il nuovo orientamento di Bruxelles è un passo non da poco per l’Unione europea, nella quale molti Paesi sono favorevoli alla coltivazione degli ogm, ma le cui istanze sono state finora tenute a freno dall’opinione contraria di Paesi come Italia (Roma, dopo i veti agli organismi geneticamente modificati espressi durante il governo Letta, continua a dichiararsi contraria anche attraverso le parole del ministro Gian Luca Galletti). In questo momento è consentita solo l’importazione di prodotti ogm; l’unico coltivato finora è un tipo di grano messo a punto da Monsanto.
Secondo le norme attuali, la possibilità di divieti di coltivazione nazionale (“clausola di salvaguardia”) è prevista solo invocando possibili rischi ambientali o sanitari causati dalla diffusione degli Ogm. Le ragioni dei divieti devono essere motivate scientificamente e sottoposte a una conferma da parte della Commissione europea, a seguito di una valutazione dell’Agenzia Ue di sicurezza alimentare (Efsa) di Parma. L’Efsa, tuttavia, non ha mai convalidato le motivazioni scientifiche in nessuno dei casi verificatisi finora, ma la Commissione non è comunque riuscita ad abolire i divieti a causa dell’opposizione della maggioranza qualificata degli Stati membri.
LE CRITICHE DI ASSOBIOTEC
Nel nostro Paese, il compromesso sembra scontentare un po’ tutti. Alessandro Sidoli, presidente di Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, che fa parte di Federchimica, lo giudica “assurdo“. “Mi domando – spiega in una nota – che senso abbia dotarsi della normativa più severa al mondo e poi lasciare agli Stati membri la possibilità di decidere su basi di fatto non oggettive“. La decisione presa a Bruxelles mina, per l’associazione, non solo un principio di sicurezza, ma anche il fondamento comunitario della libera circolazione dei prodotti e, sottolinea Sidoli, “priva gli agricoltori italiani della libertà di poter scegliere le tecniche più aggiornate in un regime di coesistenza – possibile e verificato – tra diverse modalità di coltivazione“.
UN RICATTO AI DEBOLI
Su Repubblica, invece, il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, commenta l’accordo in chiaroscuro. “Ho più di una perplessità – sostiene – su questo ormai consueto abdicare della comunità europea al suo ruolo, specie quando si tratta di politiche agricole e in particolare di Ogm: gli Stati non hanno tutti pari forza legale e pari capacità di negoziazione e una decisione come questa può significare la consegna degli Stati più deboli alle multinazionali. Tuttavia – aggiunge – l’elemento da apprezzare è che è stato introdotto un principio dirimente, quello del diritto dei singoli stati membri a decidere il proprio modello agricolo“.