L’Italia Unica di Corrado Passera nutre l’ambizione di costruire dal basso il pilastro liberale e popolare di una democrazia competitiva. Ma per farlo è chiamata a sciogliere una contraddizione emersa in modo plastico nella presentazione ufficiale del progetto: l’adesione di gran parte del ceto politico legato all’esperienza del governo Monti, e di un’élite che ha fallito clamorosamente la prova delle urne.
È questa la sfida messa in rilievo da Elisabetta Gualmini, docente di Scienza politica all’Università di Bologna, presidente dell’Istituto “Carlo Cattaneo” ed editorialista del quotidiano La Stampa, che era presente sabato scorso alla presentazione del movimento di Passera agli Studios (QUI LE FOTO DI UMBERTO PIZZI).
Professoressa, quali impressioni ha tratto dall’uscita pubblica di Italia Unica?
Ritengo robusta e condivisibile l’idea di costruire la “seconda gamba” di una democrazia competitiva, maggioritaria e bipartitica. Trovo positivo che Corrado Passera abbia scelto di schierarsi con nettezza nel campo del centro-destra, rinunciando a ipotesi velleitarie di nuove formazioni centriste. Altro punto apprezzabile è l’aver posto l’accento su una costruzione dal basso del nuovo progetto: un cantiere costruito in un viaggio di confronto con le realtà produttive e sociali dell’Italia.
All’assemblea erano presenti esponenti dell’establishment legato all’esperienza del governo Monti…
È il grande limite che vedo in Italia Unica. Agli “Studios” ho rilevato la presenza di un ambiente elitario e bocconiano, molto stridente rispetto ai comizi di Beppe Grillo e dello stesso Matteo Renzi. La storia del nostro Paese mostra che le formazioni “borghesi”, ricche di “figure tecniche” e calate dall’alto come Scelta Civica, non hanno mai avuto presa nell’opinione popolare. È necessario un radicamento forte nel territorio, fondato su una classe di amministratori locali capaci, tanto più in una stagione di anti-politica.
Teme il riproporsi di soluzioni elitarie?
È un interrogativo aperto. La scommessa è diventare interclassisti, e rappresentare gli strati ampi del ceto medio: categoria trasversale cui fino a poche settimane fa soltanto l’ex Cavaliere era riuscito a rivolgersi. La necessità per Italia Unica è superare i confini di una nicchia riservata, evitare l’errore di ricostruire un Partito liberale o repubblicano.
Quali sono i punti più controversi e meno convincenti del progetto di Passera?
La forte critica dell’ex responsabile per lo Sviluppo economico alle riforme elettorali e istituzionali messe in campo dal governo e dalla maggioranza. Un processo faticoso, ma che potrebbe portare all’abrogazione del Senato elettivo e a un meccanismo di voto decente capace di garantire la governabilità. Al contrario trovo interessante la contestazione delle forme di populismo oggi prevalenti, alle tecniche di comunicazione diretta dei leader carismatici che si rivolgono ai cittadini scavalcando i corpi intermedi tradizionali.
Ritiene credibile l’ambizioso programma economico-fiscale lanciato da Italia Unica?
La ricetta shock da 400 miliardi di euro per rimettere in moto la crescita richiede un lavoro di affinamento e spiegazione. Mentre la sua filosofia presenta affinità con il progetto portato avanti da Renzi, che ha monopolizzato quei temi.
La nuova formazione può costituire il perno di un rinnovamento e rilancio del centro-destra?
La vasta area “moderata” è tutta da riorganizzare, e il suo “elettorato dormiente” deve essere galvanizzato. Ma il requisito è un “partito-baricentro” attorno a cui ruotino forze satellite. Finora questo ruolo è stato svolto da Forza Italia, per anni motore di alleanze e federazioni e che tuttora appare il gruppo più grosso. Non è chiaro come Italia Unica possa prenderne il posto. Passera non ha chiarito il rapporto con i potenziali partner politici. Ha rivendicato la propria estraneità al ceto dirigente del centro-destra, ma non ha pronunciato parole limpide su un’eventuale partecipazione alle primarie di coalizione.