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Vi spiego perché il Pd si sta renzizzando

Gli amici di Formiche.net mi chiedono di intervenire sull’accelerata renzizzazione del Pd. Dall’isola spersa nel Dodecaneso in cui mi trovo, con difficoltà di consultazioni telematiche e libresche, non sono nelle condizioni migliori per analisi approfondite e attualizzate. Ma farò del mio meglio. Non mi convincono due chiavi di lettura proposte sulla renzizzazione in corso: saremmo di fronte alle solite spericolate manovre degli ultimi togliattiani e/o all’opportunismo dei giovani turchi.

Mah! A me sembra che gli ultimi eredi del Pci siano tutti in crisi: non solo i berlingueriani senza un briciolo di pensiero come Walter Veltroni, non solo gli amendoliani privi di una della principali virtù del vecchio comunista figlio di Giovanni Amendola cioè il coraggio (alludo a Giorgio Napolitano) ma anche i togliattiani come Massimo D’Alema che non hanno saputo seguire l’unica lezione ancora utile del vecchio Palmiro, quella che un partito per avere un ruolo deve svolgere una funzione nazionale.

L’unica funzione nazionale che gli eredi del Pci potevano ancora svolgere nella Seconda Repubblica era chiudere con il proprio passato pur non privo di gloria e cambiare la parte ordinamentale della Costituzione in crisi da fine della Guerra fredda: un po’ hanno avuto paura un po’ hanno pensato alle proprie pensioni e ai vantaggi che apparati dello stato (a partire dalla magistratura), estenuato establishment nazionale e sistema di influenze straniere offrivano loro, e hanno accettato di interpretare il ruolo che Karl Marx definiva del “morto che afferra il vivo”.

Analoga la parte interpretata da un altro grande protagonista della sinistra secondorepubblicana, Romano Prodi, che ha cercato di far rivivere quel controllo politico irista dell’economia (con le sue reti tessute anche con i Bazoli, i Profumo, i Bernabé e altri) senza avere però la possibilità di svolgere quell’iniziativa magari contradditoria ma positiva per l’economia nazionale che ebbe l’Iri negli anni Cinquanta (per non parlare dell’asse duce-Beneduce negli anni Trenta), finendo così per produrre solo schifezzuole di cui l’esempio peggiore è il consorzio Mose per Venezia, prodiano nell’ispirazione anche se non la gestione.

Questa lunga deriva dei sopravvissuti primorepubblicani ha determinato alla fine un governo dall’alto della società italiana particolarmente sottoposto a influenze straniere, contrastato -perlopiù goffamente – da un centrodestra, comunque sempre – a un certo punto – sistemato dalla magistratura o da manovre di destabilizzazione provocate dal già citato establishment nazionale.

Alla fine le leadership italiane di sinistra di fatto sono state subalterne, via innanzi tutto Banca d’Italia (una volta liquidato il troppo nazionalista – e un po’ pasticcione – Antonio Fazio) al mix burocrazia europea – socialdemocrazia tedesca fino a quando, grazie anche all’arrivo di quel genio di Mario Draghi e ai contrasti tra Washington e Berlino, gli ambienti ispirati dall’amministrazione obamiana e complementariamente dalla finanza anglo-americana non hanno ritenuto necessario dare un indirizzo più preciso alla guida politica italiana.

Dapprima hanno puntato sui loffi Mario Monti ed Enrico Letta (rivelatisi troppo tedescodipendante) e insieme sulla protesta grillina che mandava in crisi il centrodestra. Poi di fronte innanzi tutto ai pasticci tedeschi sia sulla difesa occidentale (vedi ad esempio gli strilli sullo spionaggio americano) e sul trattato per un mercato transatlantico, hanno agevolato la volata di un volto nuovo come quello di Matteo Renzi, interprete del dossettismo toscano fanfanian-lapiresco ben più dinamico di quello emiliano.

In questa Italia, molto determinata dall’alto e dall’estero, i vecchi zombi pcisti-iristi non contano quasi più niente, molte forze sociali anche perché profondamente destrutturate (vedi la patetica confindustria squinziana) si allineano per forza maggiore al governo e la renzizazzione diventa così inevitabile. Non vedo un particolare opportunismo da parte dei giovani turchi tra i quali si possono trovare persone di qualità allevate da due uomini di sinistra come Vincenzo Visco (di cui non condivido gli eccessi di statalismo fiscalista ma ammiro il rigore intellettuale) e Luciano Violante, che magari vorrà lavare un po’ di sangue che si ritrova sulle mani cosiddette “pulite”, ma comunque persegue posizioni riformatrici dello Stato e della giustizia interessanti.

Senza uno straccio di leadership neanche europea (non c’è un Blair ma neanche un Delors, e anche Ed Milliband si è rivelato viziato e astratto, con solo patetici personaggi come François Hollande o mesti burocrati come Martin Schulz) di fronte un premier capace di imprimere una scossa a una nazione boccheggiante, non si capisce che cosa avrebbe dovuto fare un giovane di belle speranze. Mettersi a flirtare con politici alla deriva come Civati, Mineo o Mucchetti?

Detto questo non è che prevedo un futuro tutto rose-e-fiori per Renzi: basta considerare un Maliki in Irak o un Morsi in Egitto per valutare la qualità dell’attuale amministrazione americana nello stabilizzare le varie situazioni nazionali. Se si riuscirà a dar vita al mercato unico transantlantico e la Germania parteciperà a definire così un orizzonte occidentale meno accidentato, forse l’Italia potrà reggere almeno per una fase una sorta di ampio dominio dello stato da parte del centrosinistra renziano. D’altra parte delle quattro grandi democrazie post ’45 senza alternativa (Giappone, Messico, India e Italia), solo Delhi pare essersi messa sulla strada di una vera alternanza.

Va osservato peraltro che giapponesi e messicani sono ben capaci di difendere i propri interessi nazionali. Mentre Roma, se non sboccerà la pace tra Berlino e Washington, ballerà molto e avrebbe allora bisogno di un sistema politico forte, cioè in grado di darsi alternative. Che peraltro non si costruisce essenzialmente con le pur volonterose Leopolde di centrodestra: mettere insieme moderati e conservatori italiani è un problema complesso, non semplificabile con Leopolde come avviene per un centrosinistra tenuto insieme da apparati dello Stato, da estenuati establishment e da sistemi di influenza straniera. Ma questa è un’altra storia.



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