La prima uscita pubblica del variegato comitato promotore dei 4 referendum volti a trasformare in profondità la legge che attua l’introduzione del principio del pareggio di bilancio e del Fiscal Compact nella Costituzione italiana aveva registrato una clamorosa assenza di adesioni politiche.
A meno di due settimane di distanza il clima è mutato. E l’interesse di partiti e movimenti per un’iniziativa che potrebbe scuotere le fondamenta dell’architettura economico-monetaria europea va crescendo.
UNA DIFFICILE RACCOLTA DI FIRME
È questa la novità emersa nel corso della conferenza stampa di presentazione delle proposte abrogative promossa oggi alla Camera dei deputati. La campagna, riassunta nello slogan “Stop all’austerità. Sì alla crescita, sì all’Europa del lavoro e di un nuovo sviluppo”, prevede fra il 3 luglio e il 30 settembre la raccolta delle 500mila firme necessarie per celebrare il voto popolare nella primavera 2015.
LE LINEE GUIDA DEL GIURISTA
Le richieste di abrogazione popolare, spiega il giurista Giulio Salerno, puntano a rimuovere punti nevralgici della legge ordinaria attuativa dell’obiettivo di equilibrio dei bilanci pubblici, approvata in tempi record e senza un’autentica discussione parlamentare nel 2012.
Finalità dei promotori è abolire le regole, non previste dalla Carta repubblicana né dai trattati europei firmati dal’Italia, che applicano in modo rigido e miope il principio del pareggio fra entrate e uscite.
Una lettura ortodossa e integralista dell’austerità finanziaria adottata dalle istituzioni comunitarie che produce strategie vessatorie e restrittive per l’economia, il lavoro, lo sviluppo del nostro paese.
LE ADESIONI POLITICHE
Accomunati dalla consapevolezza dell’urgenza di scelte nazionali ed europee espansive, i rappresentanti del Comitato promotore sono lo specchio di un mondo eterogeneo dal punto di vista culturale e politico.
Ma le sue frontiere vanno estendendosi a formazioni e partiti che da sempre guardano con sospetto, scetticismo o aperta ostilità le iniziative referendarie. Perché le manifestazioni più significative di consenso provengono dall’area magmatica e inquieta della minoranza del PD molto critica nei confronti di Matteo Renzi, da una Sinistra e Libertà coinvolta in una caotica spirale di scissioni, da una costellazione di gruppi socialisti avversari dell’egemonia liberista.
Alla conferenza stampa hanno partecipato Alfiero Grandi, Stefano Fassina, Miguel Gotor, Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre, Gennaro Migliore, Peppe de Cristofaro, Giulio Marcon, Giorgio Airaudo e Lanfranco Turci. Animatore, quest’ultimo, del “Network per il socialismo europeo” che nel 2012 aveva proposto ai parlamentari di evitare un’approvazione del nuovo articolo 81 della Costituzione con una maggioranza dei due terzi dei voti. Lo scopo era rendere possibile l’attivazione del referendum confermativo e coinvolgere l’opinione pubblica in una scelta così delicata.
In sala è stata notata dagli osservatori la presenza di Danilo Barbi; una presenza poco appariscente ma di peso: non solo in quanto Barbi è tra i 16 promotori del referendum ma perché, in quanto membro della segreteria della Cgil dove si occupa di politiche macroeconomiche, come si può leggere sul sito della Cgil.
NO A UN’ASTERITA’ ANCHE FLESSIBILE
A illustrare la bontà del progetto di consultazione popolare è l’economista Gustavo Piga. Il quale ricorda, con i premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, come “un’austerità ottusa abbia reso impensabile ogni politica industriale necessaria in una fase di crisi”.
Per archiviare una strategia fallimentare portatrice di enormi sofferenze – rimarca lo studioso rivolgendosi al premier – non è sufficiente puntare su un Fiscal Compact più flessibile, giocando con le virgole tramite estenuanti negoziati e continue manovre restrittive destinate ad accrescere rabbia e disincanto verso l’Europa.
RITORNARE AGLI INVESTIMENTI PUBBLICI
Provvedimenti che, rileva il consigliere di Stato Paolo De Ioanna, hanno contribuito al crollo del 12 per cento degli investimenti pubblici italiani nel 2013. “Esautorando di prerogative essenziali i Parlamenti nazionali, ridotti a organi di ratifica – in un clima di ‘embargo intellettuale’ – delle scelte assunte altrove spesso in antitesi con i principi fissati nelle Costituzioni”.
Estromettere lo Stato dall’economia nelle fasi di contrazione produttiva e dei consumi, precisa l’economista keynesiano Riccardo Realfonzo, ha accentuato la divaricazione tra regioni europee nel PIL e nel tasso di disoccupazione.
Risultati disastrosi che “lo stesso Fondo monetario internazionale riconosce, al contrario del Documento di economia e finanza governativo tutto interno alle logiche del rigore fine a se stesso: taglio generalizzato alla spesa pubblica e aumento continuo della pressione fiscale”.
IL CORAGGIO DI CAMBIARE I TRATTATI EUROPEI
L’orizzonte che ispira i promotori delle richiesta referendarie è così condensato dall’esperto di micro-credito Leonardo Becchetti: “Vorrei un’Europa in cui, come avviene negli Usa, un cittadino di Berlino fa credito al connazionale di Atene facendo in modo che il secondo non continui a indebitarsi”.
E uN federalista europeo come l’ex vice-ministro dell’Economia Mario Baldassarri, tra i pochissimi a votare contro l’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Costituzione e contro l’adesione al Fiscal Compact, si spinge oltre: “Se un accordo intergovernativo o i trattati costitutivi dell’Unione monetaria contraddicono tutte le teorie economiche e falliscono alla prova dell’esperienza, allora vanno cambiati”.