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Così Corriere della Sera, Repubblica e Giornale duellano sull’abbozzata riforma della giustizia

Un progetto ambizioso ed evanescente allo stesso tempo, che prospetta 12 obiettivi di grande respiro ma ne rinvia la formulazione scritta al 1 settembre. Senza illustrare modalità e strumenti della loro realizzazione. Rientra nello stile politico-comunicativo di Matteo Renzi il preannuncio delle linee-guida della riforma della giustizia messa a punto dal Guardasigilli Andrea Orlando.

Una strategia ben precisa

La motivazione di una simile scelta ricalca quella del percorso di innovazione dell’apparato statale. Fissare le finalità del programma, promuovere un’ampia discussione telematica tra il 1 luglio e il 31 agosto grazie all’indirizzo rivoluzione@governo.it, approdare il 1 settembre con un articolato di legge.

Troppo importante – spiega il premier – cogliere l’opportunità storica di emancipare il tema dalla “guerra ideologica” e dai veti contrapposti che hanno cristallizzato il pianeta giustizia per oltre vent’anni. Argomentazioni che alimentano perplessità e riserve in un giornale non certo ostile all’iniziativa del leader del Partito democratico.

Una rivoluzione virtuale

Con un tagliente editoriale del vice-direttore Massimo Giannini intitolato “Rivoluzione virtuale”, Repubblica mette in luce la mancanza di contenuti giuridici nel piano governativo. L’elenco generico presentato dal Presidente del Consiglio, scrive il giornalista, rientra però nella strategia del premier.

Nell’ambizioso calendario di riforme preannunciato all’inizio del proprio mandato, Renzi aveva indicato giugno come termine per la riforma della giustizia. “Progetto appena accennato con le linee-guida, un astuto escamotage per guadagnare tempo e vendere una merce che non si possiede”.

La ragione è fin troppo evidente, rimarca Giannini. Mentre si accinge ad assumere la presidenza di turno dell’Unione Europea, l’Italia non può presentarsi a mani vuote nel consesso comunitario su un fronte nevralgico per la credibilità e la ripresa economica del nostro paese.

Un silenzio eloquente

Molto più duro il giudizio del Giornale, che con Anna Maria Greco parla di “Riforma della giustizia a parole”. Un “manifesto in 12 punti”, rileva l’esperta cronista giudiziaria, che non sancisce nessuna svolta e rinvia la risoluzione dei nodi delicati: regole più stringenti sulla pubblicazione delle intercettazioni e norme per neutralizzare l’egemonia delle correnti delle toghe sulla carriera, le nomine, i provvedimenti disciplinari.

Al contrario del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, la testata diretta da Alessandro Sallusti boccia il contenuto del progetto governativo. E mette in rilievo, per bocca del presidente dell’Unione Camere penali Valerio Spigarelli, una clamorosa assenza: “La separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, fondamentale per applicare il principio del processo accusatorio e la terzietà del giudice”.

Lo stallo sulla responsabilità civile

È evidente come il progetto governativo abbia appena sfiorato i temi più caldi nel mondo politico e giudiziario. Lo scontro dei prossimi mesi non riguarderà certo l’introduzione del processo telematico, la riduzione a 1 anno dei tempi delle cause civili di primo grado, l’abbattimento della montagna di pendenze giudiziarie.

E non sarà focalizzato sul ripristino del reato di falso in bilancio o sull’adozione del crimine di auto-riciclaggio. Né sull’allungamento dei termini per la prescrizione, o sulla separazione nel Consiglio superiore della magistratura tra funzioni di nomina negli uffici giudiziari e sezione disciplinare.

Il conflitto, mai risolto fin dai tempi del referendum radicale del 1987, coinvolgerà la responsabilità civile dei giudici. L’esecutivo ritiene valida la filosofia della legge in vigore in Italia,  per cui una toga che sbaglia per colpa grave o dolo non è tenuta a risarcire personalmente il danno ingiustamente perpetrato. È il cittadino che deve fare ricorso allo Stato, il quale può rivalersi nei confronti del magistrato colpevole.

Un modello europeo

L’obiettivo di Palazzo Chigi è rimuovere, come nel resto dell’Europa, i filtri rigidi e farraginosi che ostacolano la facoltà di promuovere le azioni di rivalsa e di condanna. Ma ciò non è sufficiente agli occhi di Forza Italia, come evidenzia Virginia Piccolillo sul Corriere della Sera.

È il presidente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama Francesco Nitto Palma ad annunciare che se il governo non intraprenderà un’iniziativa in materia, l’organismo ristretto del Senato è pronto a votare un provvedimento in fase avanzata di discussione.

La proposta di legge Buemi

Il parlamentare “azzurro” – precisa la giornalista – non fa riferimento al famigerato emendamento presentato dall’esponente della Lega Nord Gianluca Pini e approvato dall’Aula di Montecitorio. Testo finalizzato ad allargare il terreno del risarcimento civile alla “manifesta violazione delle regole giuridiche nazionali ed europee” e ad attivare la responsabilità personale del magistrato colpevole.

Al centro dell’esame dei senatori è la proposta di legge elaborata dal rappresentante del Partito socialista Enrico Buemi. progetto che, mantenendo il principio della responsabilità indiretta delle toghe, punta a rimuovere del tutto il filtro di ammissibilità per il ricorso e a rendere obbligatoria l’azione di rivalsa dello Stato verso i magistrati autori di errori giudiziari.

Un documento, rimarca la giornalista del quotidiano diretto da Ferruccio De Bortoli, che riscuote un’adesione ampia e trasversale dei gruppi politici. Unico punto che divide PD e FI concerne l’entità del risarcimento da parte del magistrato: tema cui il governo non ha fatto riferimento.

Gli esponenti del Nazareno vorrebbe fissarla al 50 per cento dello stipendio guadagnato dal giudice al momento dell’errore. Mentre gli “azzurri” caldeggiano una rivalsa totale sulla retribuzione.


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