Da tre giorni le milizie islamiste in Libia, dopo aver provocato scontri armati, hanno bombardato a colpi di missili l’aeroporto di Tripoli. E mentre la situazione si fa incandescente anche per gli interessi italiani in zona, senza che il nuovo parlamento sia in grado di arginare i pericoli, il Giornale monta una polemica sul mancato intervento da parte del nostro ministero degli Esteri.
QUI TRIPOLI
Il quadro è complesso. Missili contro l’aeroporto sono stati lanciati dalle milizie islamiste: è stato distrutto il 90% della flotta aerea. Per questo il governo locale chiederà un intervento armato internazionale, anche se per il momento non ci sono risposte concrete da parte dei vertici continentali. La città è un vero e proprio campo di battaglia a causa del quale l’ONU ha evacuato il proprio personale dal Paese.
L’ATTACCO ALL’AEROPORTO
Mentre il nuovo governo si sta impegnando per imporre l’ordine, nelle strade ecco aggirarsi i combattenti che si erano sollevati contro Gheddafi e che mai sono stati disarmati. L’intera area aeroportuale è sotto il controllo degli ex combattenti dalla città occidentale di Zintan che hanno tenuto banco dopo la caduta di Tripoli nel 2011. Da mesi il teatro dello scontro si è spostato nei siti dei giacimenti petroliferi, con grossi rischi per l’economia mediterranea.
E L’ITALIA?
“La Libia brucia e l’Italia non c’è” titola oggi Il Giornale in un’analisi firmata da Gian Micalessin, in cui si ragiona sul fatto che mentre Tripoli è in fiamme, il ministro degli Esteri Federica Mogherini “vaga tra Israele ed Egitto dedicandosi ad una questione mediorientale in cui, realisticamente, neppure la presidenza di turno dell’Ue ci consente di giocare un ruolo effettivo”. Ma la colpa più grave del nostro ministro non è di essere in Medio Oriente, aggiunge, né di starci al fianco dell’omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier, sperando di ricavarne benefici europei.
LA COLPA DELLA FARNESINA
“La colpa più grave è di trascurare, nel mentre, quel che succede in una ex colonia asse cardinale dei nostri interessi strategici nel Mediterraneo. Un’ex colonia da cui, se continua di questo passo, rischiamo di non importare più né petrolio, né gas. Un’ex colonia che minaccia, invece, di travolgerci con un’immigrazione fuori controllo e un terrorismo fondamentalista in rapida espansione”.
QUI WASHINGTON
Gli Stati Uniti già dodici mesi fa avevano scommesso sulla capacità italiana di impiegare diplomazia e intelligence proprio al fine di “esercitare una sorta di patronato politico militare sulla nostra ex colonia. Un’occasione non da poco per tornare a giocare un ruolo di primo piano dopo una guerra a Gheddafi che rischiava metterci completamente fuori gioco”, osserva Micalessin.
CHI C’E’ IN LIBIA
Al momento nel Paese l’Italia conta un connazionale rapito, 200 lavoratori, oltre a 700 residenti con passaporto italiano ed una Eni impegnata nel difficile compito di continuare a estrarre gas e petrolio. Senza dimenticare un ruolo militare specifico, con una missione congiunta utile all’addestramento dell’esercito libico.
LE REAZIONI
“Siamo profondamente preoccupati per il livello di violenza in Libia”, ha detto il segretario di Stato americano John Kerry in occasione di una conferenza stampa a Vienna. “E’ pericolosa e deve fermarsi. Stiamo lavorando molto duramente attraverso i nostri inviati speciali per trovare la coesione politica, che può portare il governo della Libia a fare cessare questa violenza”.
IL GOVERNO LIBICO
Il portavoce del governo, Ahmed Lamine, ha annunciato la possibilità che forze internazionali possano intervenire per migliorare la sicurezza interna. Ma non è chiaro se vi sia stata una vera proposta libica formale, tanto meno la volontà internazionale di inviare truppe. Molte cancellerie occidentali temono che quel passo possa portare con sé ulteriore caos con aiuti ai miliziani che potrebbero giungere da altre vie. E trasformando di fatto la Libia in un nuovo Afghanistan, con le due fazioni mondiali impegnate ad affrontarsi.
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