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Vi spiego perché l’Italia è così corteggiata dalla Cina. Parla Carlo Pelanda

Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha terminato oggi il suo viaggio in Cina per intensificare le relazioni tra i due Paesi. Una collaborazione che passa attraverso accordi economici – come la cessione del 35% di Cdp Reti (Snam e Terna) a State Grid of China -, ma anche dalle mire espansionistiche di Pechino.

A crederlo è Carlo Pelanda (nella foto) – esperto di relazioni internazionali ed editorialista del Foglio e di Libero.

Professore, qual è oggi lo stato dei rapporti tra Italia e Cina?

Sono buoni. Per usare un termine di paragone, sono migliori di quelli che in genere Pechino ha con l’Occidente. Sia Italia sia Germania, per il loro tipo di modello industriale, tendono a sviluppare un grado di mercantilismo maggiore, che ben si coniuga con le necessità dell’economia cinese.

Rapporti economici dunque. Come valuterebbe invece l’intesa geopolitica tra i due Paesi?

Dal punto di vista geopolitico c’è estrema cautela da parte di Roma nel non passare la linea rossa fissata dagli Usa, che riguarda ad esempio le esportazioni di tecnologia militare oltre muraglia. La Cina ci prova dagli anni ’60.

A proposito di investimenti strategici, che ne pensa dell’acquisizione da parte di State Grid of China di una quota rilevante – anche se minoritaria – di Cdp reti, dunque anche di Snam e Terna?

Per il momento questi investimenti sono benvenuti, anzi, è una fortuna che ci siano. La Cina sta organizzando meglio la sua strategia di espansione nel mondo. Offre capitale e dice: non abbiate paura di me. È qualcosa di inevitabile, c’è estremo bisogno di denaro in questo momento e Pechino lo mette sul tavolo.

Come mai non ci sono partner europei o occidentali disposti a investire in asset geopoliticamente strategici come gli asset legati all’energia?

Nel Vecchio Continente ormai mancano i capitali e quei pochi che ci sono preferiscono altri lidi, forse ritenuti più sicuri. Mentre per ciò che riguarda gli Usa, con Barack Obama si sono trasformati da impero in regno. Non è ancora chiaro come intendano organizzare in futuro la loro sfera di influenza, probabilmente lo sapremo solo durante la prossima amministrazione. Ma sicuramente non hanno più molta voglia di spendere soldi per acquisire o difendere posizioni strategiche, anzi, chiedono ai loro alleati di contribuire.

Che mire reali hanno i cinesi?

La Cina sta combattendo per evitare la propria “morte”. Ci prova in tutti i modi, anche con la cosiddetta banca dei Brics. A minacciarla sarebbero gli effetti dei due accordi di libero scambio che gli Usa vuole concludere con la sponda atlantica – Ttip – e quella pacifica – Tpp. Entrambi escluderebbero Pechino, che per avere accesso ai mercati più ricchi del pianeta dovrebbe rinegoziare tutto, in termini evidentemente più svantaggiosi. Sa che se Stati Uniti ed Europa si uniscono, lei è spacciata. Per questo ha deciso di investire massicciamente – a volte anche in modo non conveniente – in alcuni Paesi che possano poi condizionare questo processo: Italia, Germania, Grecia. Finora non ci è ovviamente riuscita, ma ha contribuito a rallentare il negoziato. La Cina non chiede fedeltà, ma solo di non andare contro i propri interessi.

Perché proprio l’Italia? È tornata ad essere una “frontiera” come ai tempi della Guerra Fredda?

Tutti nel mondo si rendono conto di quanto sia importante la posizione geopolitica dell’Italia, tranne i nostri governanti. E non è un bene, perché di solito la consapevolezza di essere importanti influenza le proprie azioni azioni. La conseguenza di questa miopia è che la Penisola non ha una politica estera e quella poca che ha la deve ad alcuni big player come Eni e Finmeccanica.

Il Ttip è dunque destinato a rimanere lettera morta?

Io credo che alla fine si realizzerà. Da un lato perché anche gli Usa, pur non contro-investendo, hanno di accelerare sul trattato. Dall’altro perché in ogni caso esiste già un piano B, che prevede la definizione di tanti piccoli accordi bilaterali. Il mio consiglio è quello di stringere un’intesa partendo dai punti in cui si è in sintonia, rimandando quelli più delicati e divergenti come l’agricoltura.



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