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Saipem, i consigli del prof. Sapelli a Descalzi (Eni)

povertà

La gestione dell’Eni, passata il 14 aprile scorso dalle mani di Paolo Scaroni a quelle del nuovo ad Claudio Descalzi, sta provando a rifocalizzarsi sugli idrocarburi, limitando le perdite nella raffinazione (come nel caso di Gela) e dismettendo alcune attività non ritenute core business, tra cui Saipem.

Una scelta che lo storico ed economista Giulio Sapelli – dal 1996 al 2002 nel cda del Cane a sei zampe e dal 1994 ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei – ritiene giusta dal punto di vista della strategia aziendale di lungo periodo, ma affrettata nel breve e medio termine. Ecco perché in una conversazione con Formiche.net.

Professor Sapelli, per Eni la Saipem non fa più parte del core business quindi in prospettiva si può vendere. Come valuta questa scelta?

L’Eni inizia a ristrutturarsi. Una scelta intelligente, che viene da un ad e un management che ritengo all’altezza della sfide future che aspettano il gruppo. La scelta di rinunciare a Saipem è in linea con quelle di tutte le grandi compagnie petrolifere, che da tempo hanno rinunciato alle compagnie di servizi e alla raffinazione, business poco redditizi, per dedicarsi alle attività estrattive. Tuttavia credo ci siano alcuni aspetti da valutare con attenzione.

Quali?

Bisogna tener conto di cosa ha significato Saipem per Eni in questi anni, della sua funzione strategica. Avere una compagnia di servizi di alto livello come Saipem è stato utilissimo, ha dato un’apertura internazionale al gruppo ed è stato un catalizzatore di nuove tecnologie. Ha aiutato a superare un momento difficile, proprio perché possedeva certe tecnologie quando le perforazioni vivevano una fase di cambiamento. Un elemento fondamentale in un settore in cui la crescita è fondata soprattutto sulla capacità tecnologica. Tutti davano per morto l’oil&gas e a risollevarlo è stata proprio l’innovazione, anche quella di Saipem.

Che strategia dovrebbe adottare Descalzi?

Sento di consigliargli solo prudenza, che mi pare abbia già deciso di adottare dal momento che ha detto che non c’è fretta di vendere. Da un lato è vero che ormai la maggior parte delle tecnologie del settore nell’upstreaming, a differenza del passato, si può comprare liberamente. Ma non bisogna dimenticare che l’oil&gas è un mercato profondamente imperfetto, oligopolistico. Per giganti come ExxonMobil, con grandi disponibilità di cassa, è facile non avere una propria “Saipem”. Se domani dovesse servigli una certa tecnologia e nessuno volesse vendergliela, ingloberebbe direttamente la compagnia che la possiede. Eni potrebbe fare lo stesso oggi? Io penso di no. Per questo auspico che la compagnia cresca ancora, arrivando alle cifre dei suoi competitor. Immagino qualcosa come 5mila barili al giorno di produzione. Solo allora competeremo ad armi pari e saremo competitivi.

Nell’eventualità che Descalzi avesse deciso di vendere ora senza se e senza ma, considera plausibile l’ipotesi Cdp Reti?​

Potrebbe essere un’ipotesi. L’importante è non porre in essere solo un ragionamento economico e non inseguire la finanza. Descalzi pone un interrogativo serio, di lungo periodo. Lavora all’Eni che vorrebbe tra vent’anni. Ma per costruirla bisogna avere la forza di diversi asset: giacimenti, tecnologia e finanza. Tutto deve tenersi insieme. In assenza di un equilibrio è meglio non fare il passo più lungo della gamba. Quando l’Eni l’ha fatto ha attraversato i suoi momenti più bui.



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