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La bufala dello shale gas (e del fracking) in Italia

In Italia si estrae shale gas? Si può estrarre shale gas? Si pratica il fracking?

Su questi interrogativi si arrovellano negli ultimi tempi giornalisti, politici, associazioni, ambientalisti di vario spessore, comitati e comitatini (cit. Matteo Renzi) e, naturalmente, tanti studiosi, spesso purtroppo improvvisati, della geologia degli idrocarburi.
Per chiarire: lo shale gas o non convenzionale, è gas naturale uguale in tutto e per tutto a quello tradizionale. A renderlo diverso, e per lungo tempo non estraibile, è la roccia-serbatoio in cui il gas si trova, un sedimento praticamente impermeabile ma che le tecnologie più recenti (fracking e perforazione orizzontale) oggi riescono a “rompere”.

L’attenzione dei media si è concentrata in particolare sulla tecnologia del fracking, che, a solcare il web o a leggere alcune fonti sembrerebbe comparire come il prezzemolo dalle Alpi a Canicattì.

Ma cos’è il fracking? Si tratta di fratturazione idraulica, ossia una tecnica che consiste nell’utilizzare un fluido, generalmente acqua, iniettato ad alta pressione per creare e propagare una frattura in uno strato di roccia nel sottosuolo, e per consentire l’estrazione dell’idrocarburo.
Un modus operandi certamente invasivo dal punto di vista ambientale, e sotto osservazione anche per un possibile legame con microsismi nelle zone ove essa viene applicata.

Ma la domanda è: si pratica in Italia?

Parli con i geologi e si mettono a ridere. Impossibile, dicono, perché il sottosuolo italiano non presenta formazioni degne di nota di shale gas. Solo un pazzo, dicono, spenderebbe milioni di euro per frackare (mi si perdoni l’orrendo neologismo) nel nostro Paese, la cui geologia è immensamente diversa rispetto a quella degli USA, per esempio, dove invece i giacimenti di shale gas sono enormi e da qualche anno presi d’assalto.

Se invece leggi il giornale, o guardi qualche trasmissione televisiva ti sembra di udire (sì, proprio udire) grida di allarme da diverse parti della Nazione, in cui ormai ci si preoccupa del fracking anche solo se un contadino sta scavando un pozzo per l’acqua del suo campicello.

A fugare i residui dubbi sulla domanda di cui sopra (amplificata ad arte da chi ha interessi contrari, maliziosamente aggiungo) arriva oggi una parola chiara del Ministero dello Sviluppo Economico, che ha risposto recentemente ad un’interrogazione parlamentare del Movimento 5 Stelle proprio sullo shale gas italico.
L’interrogazione chiedeva, fra le altre cose, chiarimenti relativi alla presupposta esistenza sul territorio italiano di estrazione non-convenzionale di idrocarburi con la tecnica del fracking, con esplicito richiamo alle Concessione di Tertiveri di Eni (in Puglia) e di Fiume Bruna di Independent Energy Solutions (in Toscana).

In Commissione Attività Produttive della Camera, il Governo ha chiarito, in maniera sintetica ma con numerosi dettagli tecnici, la fondamentale e misconosciuta distinzione tra il temutissimo fracking e la normale stimolazione tramite fluidi pressurizzati, in uso nei “giacimenti convenzionali”, gli unici coltivati in Italia con metodologie in uso dagli anni ‘50. Ovvero quello che è stato fatto in Italia, in qualche raro caso e che talvolta serve fare durante il periodo di coltivazione del giacimento.
In sostanza, dice il Ministero, non bisogna confondere il fracking, che è quella operazione messa in opera con più di 10.000 metri cubi di acqua iniettata in un singolo pozzo, oppure con più di 1.000 metri cubi d’acqua iniettata in un singolo “stadio”, come stabilisce la Raccomandazione della Commissione del 22 gennaio 2014 – 2014/70/UE, dalla microstimolazione o stimolazione con fluidi pressurizzati, praticata per esempio nella zona di Grosseto.

Il Governo ha concluso la sua risposta all’interrogazione affermando che:

– Il Ministero dello Sviluppo Economico non ha mai autorizzato sul territorio nazionale la ricerca e la coltivazione di shale gas tramite fratturazione idraulica e che, ad oggi, non sono pervenute istanze per la ricerca o la coltivazione di gas o olio da shale rock.
– Risulta pari a zero il numero di pozzi autorizzati in Italia nei quali è utilizzata la tecnica di fracking per la produzione di shale gas o shale oil.
– Secondo le conoscenze geologiche attuali, non esistono, sul territorio nazionale, giacimenti di gas o olio da scisto di rilevanza commerciale e che, comunque, la significativa urbanizzazione dello stesso territorio renderebbe impraticabile la tecnologia della fratturazione idraulica ad alto volume.
– Nel nostro Paese la fratturazione idraulica per la coltivazione di shale gas è esclusa dalla Strategia Energetica Nazionale, nella quale è chiaramente indicato che “il Governo non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma, ed in particolare quelli di shale gas”.

Basterà a eliminare illazioni, dubbi, allarmi appassionati contro lo shale gas italiano?
Scommetto che non basterà.

Giovanni Galgano, managing director Public Affairs Advisors

@GioGalgano
@PAAdvisors


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