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Chi (non) può intervenire in Libia

La situazione libica sta precipitando. Sta divenendo simile a quella somala. Le milizie locali esercitano il potere di fatto. I governi che si sono succeduti hanno cercato accomodamenti con le più potenti, con ricche elargizione di fondi tratti dal “fondo sovrano libico”, congelato all’estero ai tempi della guerra civile. La produzione di petrolio e di gas – quest’ultimo esportato in Italia con il gasdotto Greenstream, che copre il 10-11% dei consumi nazionali – è irregolare. Quella di petrolio aveva registrato in luglio un deciso miglioramento. Dai 200.000 barili al giorno, a cui era scesa nel 2013, era risalita a 500.000. I porti di Brega, al-Lanouf e al-Sidra avevano ricominciato a funzionare. Poi nuovamente il caos, da Tripoli a Bengasi.

La Camera dei Rappresentanti, eletta il 25 giugno, in modo ritenuto soddisfacente dagli osservatori internazionali, anche se vi il voto era stato espresso da un numero ridotto di elettori, si è insediata a Tobruk il 4 agosto. Avrebbe dovuto riunirsi a Bengasi. Ma la situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica nella capitale della Cirenaica è tanto precaria da consigliare il primo ministro al-Tinni di farla riunire in una sede più tranquilla.

Molti osservatori hanno cercato di dare una spiegazione alla lotta fra le milizie scoppiata in Libia e anche allo scontro politico che aveva impedito al vecchio Parlamento Transitorio (il Congresso Nazionale Transitorio) affermando che esso potesse essere ridotto alla competizione fra gli islamisti (in parte collegati con la Fratellanza Musulmana, in parte Salafiti se non jihadisti) e non-islamisti. I primi avevano come braccio armato le milizie di Misurata e quelle di Ansar al-Sharia. I secondi sembravano appoggiate dalle milizie di Zentan, dai berberi del Nafusa e da quello strano, controverso e ambiguo personaggio che è il generale Khalifa Hafter, autoproclamatosi salvatore della Libia dalla minaccia islamista. Dopo iniziali successi, che gli avevano ottenuto l’appoggio delle unità speciali governative, dell’Aeronautica, della Marina e di parte di collaboratori di Gheddafi, è stato sconfitto dai miliziani islamici della Cirenaica e sembra che si sia rifugiato in Egitto.

Il colpo di Stato di Haftar era sembrato inizialmente una carnevalata. Tale l’aveva giudicato anche Karim Mezran, uno dei più attenti e affidabili osservatori delle questioni libiche al Centro Hariri del Comitato Atlantico di Washington. L’iniziale successo del generale golpista sembrava avvalorato dalla rinuncia del NTC di ratificare la nomina di Ahmed Maitig – legato al Partito della Giustizia e della Ricostruzione, espressione politica della Fratellanza Musulmana – a primo ministro e nell’indire nuove elezioni per nominare la Camera dei Rappresentanti. Era tornato a ricoprire la carica di primo ministro ad interim al-Thinni, legato all’Alleanza delle Forze Nazionali, formazione politica più secolare. Ma è verosimile che anche il nuovo parlamento non riuscirà a ricostituire un certo ordine.

Come ha affermato un componente dell’Ufficio della Nazioni Unite a Tripoli, è probabile che la Libia diventi un Failed State e che i libici non siano in grado di garantire l’unità del paese, l’ordine e sicurezza pubblica e la ripresa dell’economia, cioè dell’esportazione di petrolio, senza un consistente aiuto internazionale.
Ma da parte di chi? Tutte le organizzazioni internazionali presenti in Libia hanno evacuato i loro rappresentanti. Lo stesso hanno fatto i principali paesi europei, con la notevole eccezione dell’Italia, che ha mantenuto aperta e funzionante Ambasciata e Consolato, e con quella parziale del Regno Unito, che ha mantenuto a Tripoli l’ambasciatore e il picchetto d’onore per l’alzabandiera del mattino.

Non è improprio – anzi è doveroso – esprimere ammirazione e sostegno nazionale al nostro ambasciatore. Egli e la Farnesina hanno dato prova di dignità e senso patriottico che erano certamente mancati nel 2011 durante le operazioni anti-Gheddafi, quando la nostra rappresentanza a Tripoli se l’era filata fra i primi. E’ un mutamento in meglio che ci deve rendere orgogliosi e che contribuisce certamente a consolidare il prestigio nazionale.
Ma che cosa avverrà? E’ ipotizzabile un intervento internazionale, a parte le solite inconcludenti chiacchiere sulla pace e sul volemose bene! A parer mio, è del tutto improbabile che qualcuno voglia impelagarsi nel vespaio libico.

Gli stessi libici non l’accetterebbero. In particolare, le milizie non disarmerebbero spontaneamente. Dovrebbero essere disarmate. Non so se ci si rende conto di che cosa tale compito comporti. L’unica a poter intervenire sarebbe la NATO. Ma gli USA non hanno alcuna intenzione di inviare i loro boots on the ground. Senza gli USA, la NATO è paralizzata. Dell’UE meglio non parlare. L’unica speranza d’intervento internazionale è riposta nei paesi che sono più minacciati dall’instabilità libica: l’Egitto e l’Algeria, sensibili anche alla destabilizzazione che il caos libico sta esportando nel Sahel. Ma si tratta di un’ipotesi a parer mio ancora lontana nel tempo.

Sia Il Cairo che Algeri hanno altri problemi e priorità. Per ora si sono limitati a registrare con soddisfazione l’espulsione dalla Libia prima delle elezioni del 25 giugno dei diplomatici della Turchia e del Qatar, sostenitori della Fratellanza Musulmana. Hanno inoltre rafforzato le loro forze alle frontiere con la Libia. Ma passare da una strategia difensiva ad una offensiva è tutt’altro che semplice, anche qualora la Lega Araba decidesse di impegnarsi a fondo. Le prospettive dell’evoluzione della situazione in Libia sono pertanto incerte. Dovremmo prepararci a un periodo di scontri e di confusione, a cui il nostro Paese è particolarmente esposto. Ne subirebbe certamente le conseguenze: immigrazione clandestina e incertezze sull’approvvigionamento di petrolio e di gas.



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