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Il Pil dell’Istat rottama Renzi o l’Europa rigorista?

istat, disoccupazione, crescita

Va bene, impicchiamoci sugli zero virgola qualcosa. D’accordo, bisticciamo pure sul perché il salvifico bonus di 80 euro non ha fatto lievitare come sperato (da alcuni) il Pil. Insomma, vivisezioniamo il dato del Pil diramato oggi dall’Istat: l’Italia torna in recessione con un meno 0,2% nel secondo trimestre. Ma la sostanza non cambia, visto che gli esecutivi hanno le mani legate da Bruxelles.

Chi pensava, o ha indotto a pensare, che gli 80 euro in più nelle buste paghe dei redditi più bassi potessero far germogliare di colpo il pil, ha bluffato per portare a casa il bottino elettorale. Ma alzi la mano il politico che negli anni non si è sciacquato la bocca con un “e’ urgente aumentare gli stipendi dei meno abbienti”. Il governo Renzi l’ha fatto.

La verità è che governare è più difficile che sdottoreggiare e commentare su giornali di carta e on line (anche su Formiche.net…). Anche perché tutti invocano le riforme per aumentare la competitività e la produttività (ammesso e non concesso che l’Italia abbia un problema di produttività), per rendere snelli e certi il fisco e la giustizia (questo uno dei veri vantaggi del sistema inglese più che imposte lieve per le aziende, come ha dimostrato uno specialino di queste giorni su Formiche.net), e per aumentare la concorrenza, scardinare burocrazie frenanti e smantellare movimenti anti industrialisti; ma quando si iniziano a toccare e intaccare rendite di posizione e privilegi anti competitivi si levano rimostranze contro l’intrusione dirigista e governativa.

Ciò detto, invece di concentrare le attenzioni su Roma, e su Palazzo Chigi, bisogna andare anche a Bruxelles per far cambiare verso al Pil. Il problema sono le regole di bilancio che ingabbiano gli Stati europei e le economie. Bastava leggere da tempo qualche saggio di Giuseppe Guarino, qualche commento di Paolo Savona, qualche allarme di prof anti euro come Antonio Maria Rinaldi e i consigli ragionevoli di Gustavo Piga: un economista liberale e poco piazzaiolo che si è messo alla testa di una raccolta di firme per abolire le leggi nazionali che ingabbiano la finanza pubblica (e di cui Formiche.net si occupa con assiduità).

Il problema dei problemi, infatti, è il Fiscal compact. Insomma i folli tetti sui rapporti deficit/pil e debito/pil che castrano le politiche economiche degli Stati e strozzano anche consumi e investimenti privati. Può apparire semplicistico, e pure populistico, ma è bene ribadirlo per non perdere la bussola senza inventare un capro espiatorio. E comunque, non per giustificare gli insufficienti risultati finora raggiunti dal governo Renzi in termini di crescita, ma perché da realisti che hanno in uggia i venditori di illusioni non si può non riconoscere che non esiste il pilota automatico per far crescere il pil.

Ma come mai – si chiedono alcuni sapientoni turbo liberisti – l’economia americana avanza e quella europea arranca? La risposta degli stessi sapientoni è: tutto merito dell’economia degli Stati Uniti, flessibile e dedita alle innovazioni. Giusto. Bene. Ma solo per questo? Facciamo parlare un po’ di numeri. Negli Usa dal 2007 al 2009 il deficit si è allargato di 9,1 punti di Pil (6 di maggiori spese e 3,1 di minori entrate) contro 5,6 punti di maggior deficit nell’Eurozona. E dal 2009 al 2014 l’economia americana è cresciuta del 12,4 per cento, mentre l’Eurozona solo del 3,6 per cento. Le implicazioni “politiche” di questi numeri sono a portata di mano.

Il cronista, a questo punto, fa tirare le conclusioni all’editorialista e analista del Sole 24 Ore, Fabrizio Galimberti, che commentando questi dati ha centrato due aspetti. Primo: “La politica di bilancio Usa è stata più lesta e generosa nello stimolo”. Grazie all’assenza di Fiscal compact. Secondo: “Il forte stimolo di bilancio si è unito a una politica monetaria anch’essa più pronta e più generosa di quella del Bce”.

Il quadro (se non si segue il chiacchiericcio parlamentare scatenatosi sui dati del Pil) è chiaro. Anzi, fosco.


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