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Perché Renzi non può non rottamare l’articolo 18

Ha ragione Matteo Renzi, “l’articolo 18 è un totem”. Ma proprio per questo un riformista (e ancor più un rottamatore) se ne deve disfare.

Il totem è un oggetto o un fenomeno al quale viene attribuita una relazione speciale con alcuni gruppi sociali. Lo stesso è accaduto a quella norma contenuta nello Statuto dei lavoratori, diventata un tabù, un divieto sacrale, proprio nel momento in cui ha perso forza e significato: non solo non copre i dipendenti delle aziende sotto i 15 dipendenti, ma ormai nemmeno i giovani neoassunti.

L’articolo 18 sarebbe stato consumato dalla storia e dalla evoluzione del lavoro se non lo avessero caricato di tanti significati simbolici, “ideologici” dice ancora Renzi. Però, una volta diventato espressione del pensiero mitico, chi vuol cambiare la politica e la società non può lasciarlo dov’è, ritto al centro della tribù della sinistra conservatrice.

Si parva licet, Renzi ha lo stesso problema di Platone. Ebbene sì, non c’è da nulla da ridere. Il sommo filosofo espelle dalla sua Repubblica la poesia, cioè la voce del mito, non per una vocazione totalitaria, bensì perché impedisce la realizzazione di uno Stato basato sulla ragione e sulla conoscenza più alta: l’idea del bene. Il nuovo ordine sociale deve essere costruito sulla giustizia non sugli idoli. Lo spiega bene Ernst Cassirer nel suo ultimo libro, davvero illuminante sulla politica moderna anche se (o forse proprio perché) scritto durante la seconda guerra mondiale: si chiama “Il mito dello stato” e si occupa proprio dell’affermarsi del mito nella società di massa.

“Il pensiero mitico è conservatore perché non riconosce altra autorità che la tradizione, il potere dell’eterno ieri”, scrive il filosofo tedesco. E, interpretando la cesura platonica, aggiunge: “Se tolleriamo il mito nei nostri sistemi politici è perduta ogni speranza di una ricostruzione e di una riforma della nostra vita politica e sociale”. Il pensatore neokantiano e liberale aveva in mente il totalitarismo, ma non solo, se la prendeva con la politica basata sul culto del capo e dell’eroe. La sua preferenza andava per il primato della legge e, secondo lui, Platone “è il fondatore e difensore dello stato di diritto”. Ma sapeva bene che “fra tutti gli idoli umani gli idoli politici, gli idola fori di Bacone, sono i più pericolosi e i più tenaci”.

Sembra una digressione cervellotica, paradossale, persino un po’ ridicola se si paragonano i giganti del pensiero con i lillipuziani praticoni che dominano il dibattito italiano. Ma attenzione, dietro ogni tentativo di minimizzare le grandi questioni annegandole nella polemica da talk show, si nasconde sempre un trappolone. Michele Arnese racconta come da tredici anni a questa parte si parla dell’articolo 18, ci si accapiglia e non se ne fa niente. I posti di lavoro vengono creati aumentando la domanda, è ovvio, ma le condizioni dell’offerta sono altrettanto importanti; anche questo è buon senso prima ancora che buona economia.

I tentativi di aggirare l’ostacolo messi in atto alla riforma Fornero si sono rivelati inutili perché l’albero magico è sempre là e la grande proibizione ancora fa ritrarre chiunque osi sfidarla. Dunque, tanto vale prendere la questione di petto. In fondo nei Paesi del nord Europa, dove le cose sono affrontate in modo diverso, non ci sono meno protezioni per i lavoratori, anzi i salari sono più alti e la disoccupazione più bassa. Perché da noi no?

Stefano Cingolani  


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