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Come evitare che l’Italia in Europa punti alla “politica estera del sedere”

“La politica estera del sedere” è una locazione che non contiene alcun doppio senso. E’ stata coniata anni fa dall’ex presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), Stefano Silvestri. E’ da intendersi in modo strettamente etimologico di “‘politica alla ricerca di seggi dove sedersi senza però sapere cosa farci (una volta posato il posteriore sul seggio)”.

E’ stata per decenni una delle caratteristiche della politica estera dell’Italia. Aveva come suoi alleati ex-politici alla ricerca di collocazioni, diplomatici che ambivano a posizioni lontane dai corridoi della Farnesina (in attesa di sedi estere più prestigiose), parenti e amici vari di un gruppo ristretto che pensava, a torto od a ragione, di poter incidere sulle scelte di personale delle organizzazioni internazionali ed europee, ben sapendo di non avere voce in capitolo a proposito delle istituzioni finanziarie internazionali (Fondo monetario, Banca mondiale, Banche multilaterali di sviluppo) dove si accede per concorso in seguito a bandi pubblici pubblicati sulle maggiori testate.

Perché ci occupiamo adesso della “politica estera del sedere”? Non poiché una proposta di nomina sembra corrispondere a una strategia che ormai pareva rottamata ma in quanto lo IAI ha fatto pervenire, per Ferragosto, ai propri soci un libro breve (125 pagine) ma succoso  intitolato Scegliere per contare. Rapporto sulla politica estera italiana. Edizione 2014. Curato dal bravo direttore dell’Istituto Ettore Greco, è un lavoro collettaneo in cui i maggiori esperti di politica estera dell’Italia, affiancati da un gruppo di ricercatori, hanno delineato le scelte possibili dell’Italia non solo del contesto dell’Unione Europea (UE), e della più ristretta eurozona, ma in quello internazionale.

Il libro esce in parallelo con l’inizio del “semestre” in cui l’Italia ha il compito di presiedere gli organi di governo dell’UE non perché l’esperienza del passato mostra che in questa fase lo Stato-Presidente possa essere specialmente incisivo ma in quanto una media potenza può, se vuole e se ne è capace, indicare le priorità per la politica estera europea (quella che conta a livello mondiale).

Il documento ne individua sei:

·  Un percorso credibile verso l’adesione all’UE degli Stati dei Balcani Occidentali.

·  Una complessiva revisione delle politiche verso il vicinato che rimedi ad alcune carenze strutturali.

·  Un rilancio della cooperazione transatlantica attraverso iniziative come l’accordo di libero scambio e partner iato che bilancino il ‘perno asiatico’ della politica estera americana.

·  Una ridefinizione dei partenariati strategici dell’UE in particolare di quelli con i Paesi asiatici come l’ASEM (Asia Europe Meeting).

·  Un rafforzamento delle relazioni euro-africane nei settori della sicurezza e dello sviluppo.

·  Una maggiore armonizzazione e sinergia tra politiche esterne ed interne dell’UE in vista di obiettivi di primario interesse per l’Italia come la gestione condivisa dei problemi migratori e della diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico.

A questi obiettivi strategici per la (eventuale) politica estera UE, il rapporto delinea strategie prioritarie per l’Italia o in altre sedi (ad esempio, NATO) o in via bilaterale: a) rispondere alle sfide di sicurezza nel Mediterraneo e nel Medio Oriente; b) approfondire le prospettive di partenariato nell’Africa sub sahariana; c) una strategia per la Cina.

Si tratta di scelte strategiche ineccepibili per un Paese di medie dimensioni e da quattro anni in crisi economica. Esse hanno un obiettivo che può sembrare limitato ma che è, invece, ambizioso: preservare il ruolo dell’Italia nel quadro globale, nonostante più limitate risorse.

Si tratta, però, di scelte che cozzano con la tradizionale “politica del sedere”.



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