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Perché l’Isis non si può sconfiggere politicamente

Non esiste strategia su che cosa fare dopo aver rallentato da pressione dell’ISIS contro il KRG (Kurdistan Regional Government). L’ISIS rappresenta una minaccia superiore a quella di al-Qaeda. I successi che ha conseguito nel Nord e nell’Ovest dell’Iraq e in Siria (controlla un terzo del territorio dei due paesi) e anche la fama che si è conquistata tra tutti i fanatici islamisti con le sue implacabili violenze e la proclamazione del Califfato stanno attirando nei suoi ranghi migliaia di volontari, anche dall’Europa. Le sue forze che, all’inizio dell’anno, venivano valutate in 20-30.000 combattenti si sono triplicate. Varie formazioni islamiste gli si sono aggregate. Precedentemente, anche a seguito della condanna rivoltagli dal capo di al-Qaeda, Al-Zawahiri, per le sue violenze, si erano dissociate dall’ISIS, come avevano fatto  dal suo predecessore. La situazione è differente.

A parer mio non si ripeterà la sahwa o risveglio sunnita. Tutt’al più qualche esponente sunnita parteciperà al nuovo governo di Baghdad. L’ISIS continua a essere sostenuto dagli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Lo considerano la loro arma migliore contro la “mezzaluna sciita”, anche se un suo successo porrebbe in pericolo la sopravvivenza delle petro-dinastie della penisola arabica. Anche la posizione della Turchia è stata finora ambigua. Ha consentito il transito degli jihadisti diretti in Siria, forse per sottolineare la sua appartenenza al sunnismo.

La trucida violenza sparge il terrore. Viene utilizzata tatticamente dall’ISIS, con la diffusione delle sue immagini da parte della sua rete mediatica, estremamente efficiente. Ha certamente contribuito alla rotta dell’esercito governativo iracheno nella vallata del Tigri. Potrebbe avere anche effetti strategici, evitando una reazione delle milizie tribali e contribuendo al consolidamento del Califfato. Al successo strategico dell’ISIS ha probabilmente contribuito anche il cosmetico intervento aereo americano e la decisione di Obama di non intervenire in Siria. Molti sunniti ormai ritengono che gli USA si siano schierati dalla parte degli sciiti.

Non mi sembra che l’ISIS possa essere sconfitto politicamente. Il fanatismo che lo caratterizza esclude che possa essere usata nei suoi riguardi una logica strategica razionale, indispensabile per qualsiasi forma di negoziato, quindi di dissuasione o di uso solo potenziale della forza. Non vi è alternativa a un duro intervento militare, che lo sconfigga a premessa di qualsiasi stabilizzazione geopolitica del Medio Oriente. Esso andrebbe effettuato prima che i successi dell’ISIS allontanino dall’Occidente le monarchie del Golfo. Allora sarebbe troppo tardi. Europa e USA dovrebbero smetterla di baloccarsi con sofisticati interventi, volti più a soddisfare le loro opinioni pubbliche che a raggiungere risultati strategici concreti. I successi dell’ISIS e l’avvento del Califfato stanno già modificando la carta geopolitica del Medio Oriente e la mappa delle guerre per procura che vi si combattono. Già oggi USA e Iran collaborano nel contrastare il radicalismo sunnita. Le monarchie del Golfo, formalmente alleate con Washington, invece lo appoggiano. I peshmerga curdi sono in prima linea. Stanno opponendosi all’ISIS a vantaggio dell’intero Occidente. Un loro successo potrebbe costituire la carta vincente contro i “guerrieri di Allah”. Forniscono la fanteria. L’Occidente non intende schierarla. Vanno rafforzati, senza il timore di accelerare la loro indipendenza, creando problemi per gli Stati vicini, che hanno minoranze curde. La collaborazione della Turchia è essenziale al riguardo. L’eclatante vittoria di Erdogan – favorevole a un accordo con i curdi, che gli sono necessari per  modificare la costituzione in senso presidenzialista e per riprendere parte dell’influenza perduta in Medio Oriente – rende più possibile tale innaturale alleanza. La partecipazione di Ankara potrebbe favorire anche la reazione degli Stati e delle milizie tribali sunnite più moderate. La posizione dell’Arabia Saudita è particolarmente delicata. Il sostegno dato dai Wahhabiti all’ISIS, crea problemi all’Iran e al governo sciita di Baghdad che Riad non ha mai completamente accettato. Però, un completo successo dell’ISIS segnerebbe la fine della dinastia. La bizantina politica saudita deve trovare un equilibrio. Ma sarà difficile usare l’ISIS contro Teheran e neutralizzarlo una volta che sia divenuto troppo pericoloso.


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