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Cosa resta oggi dell’insegnamento di De Gasperi?

Avevo nove anni quando, il 19 agosto 1954, moriva a Borgo Val Sugana, Alcide De Gasperi.

Nella mia casa e in parrocchia, che frequentavo da giovane “aspirante”, si respirava da tempo aria di DC e il drappo del “comitato civico” era sempre pronto ad essere steso sul balcone del centro sociale parrocchiale ad ogni vigilia di consultazione elettorale politica o amministrativa.

Siamo cresciuti, noi della generazione DC a cavallo tra la terza e la quarta, nel ricordo e nel mito dello statista trentino. I nostri democristiani più anziani erano stati partecipi e testimoni dei suoi comizi nelle piazze gremite delle città del Veneto e quelli della terza generazione che ci accolsero nel partito agli inizi degli anni’ 60, seppur già divisi, dopo la rottura della corrente di “Iniziativa Democratica” e l’avvento dei “pallidi salmodianti” dorotei della Domus Mariae che posero fine all’egemonia fanfaniana sulla DC, ci parlavano di De Gasperi come del padre fondatore nel cui ricordo tutti ci si ritrovava uniti.

Era stato De Gasperi, infatti, a redigere un opuscolo clandestino a firma di Demofilo il 26 luglio del 1943 quelle che passeranno alla storia della DC come “le idee ricostruttive della DC”; di fatto, il primo schema programmatico della futura Democrazia Cristiana, all’indomani della caduta del fascismo e dell’apertura di una nuova stagione di confronto politico in Italia.

Non si potrebbe comprendere il senso autentico del capolavoro storico-politico di De Gasperi se non si tenesse conto, da un lato, delle condizioni internazionali in cui si collocava il caso italiano e, dall’altro, della specificità del tutto particolare di una nazione che, seppur inserita all’interno del mondo occidentale, in virtù delle scelte compiute dai Grandi alla conferenza di Yalta, vantava, altresì, la presenza del più forte partito comunista dell’Occidente: il più grande partito comunista al mondo, dopo quelli dell’URSS e della Cina, per capacità di consenso elettorale liberamente e democraticamente acquisito, e per organizzazione di quadri e di militanti inseriti stabilmente nel partito e nelle organizzazioni sociali di diretta emanazione del partito stesso.

E’ all’interno di questa realtà effettuale che si concretano le scelte degasperiane decisive, destinate a garantire alla DC un ruolo fondamentale e centrale per gli equilibri politici dei successivi decenni:

– il coinvolgimento di tutto il mondo cattolico su una politica democratica di moderato riformismo e, dunque, l’azione da lui svolta per garantire l’adesione della Chiesa alla rinascente democrazia italiana. Di qui il tentativo, in larga parte riuscito, di mobilitare l’unità dei cattolici attorno alla DC;

– la scelta atlantica ed europea da una lato, con tutte le implicazioni di ordine economico e sociale che esse comportavano e, dall’altro, quella delle alleanze con i partiti di ispirazione laica, liberale e del socialismo democratico, quale base dell’equilibrio centrista anche dopo e nonostante la maggioranza assoluta conquistata dalla DC nelle elezioni del 18 Aprile 1948.

–  Una politica di apertura e di collaborazione con le forze laiche, socialiste democratiche e liberali in un clima di grande tolleranza e di intelligente moderazione aperta alle istanze delle classi popolari da tenere in equilibrio con gli interessi del ceto medio.

Sono queste le fondamentali scelte degasperiane destinate a caratterizzare la realtà di un partito che, proprio in virtù delle stesse, finirà con il rappresentare e rappresenterà oggettivamente, l’alternativa democratica, fondata su un vasto consenso popolare, al polo comunista che egemonizzava specularmente ed in maniera indiscutibile l’area delle forze di opposizione di sinistra del Paese.

Un’opposizione che per molto tempo non mancherà di caratterizzarsi nel senso di una autentica alternativa al “sistema di potere dominante” con continui richiami alla costruzione di una futura società “democratica e socialista”.

Divisione del mondo in blocchi; presenza di un fortissimo partito comunista che, per molti anni, conserverà i caratteri di partito rivoluzionario di derivazione terzinternazionalista, legato indissolubilmente alle direttive del Cominform; politica delle alleanze al centro, anche come conseguenza di un sistema elettorale fondato sulla proporzionale rigida: sono questi gli elementi entro i quali si impernia la figura e l’opera politica straordinaria di Alcide De Gasperi che, possiamo a buon diritto, annoverare tra i grandi Padri della Patria e, sicuramente, tra i massimi esponenti politici di tutta la nostra storia unitaria.

Se sul fronte politico De Gasperi lega indissolubilmente il suo nome e la sua epoca a quella del centrismo, su quello del partito, l’età di De Gasperi è il tempo in cui si assiste al passaggio del primato dalla prima alla seconda generazione democratico-cristiana e, dunque, all’avvento alla guida della DC di Amintore Fanfani. Una guida, quest’ultima, destinata a segnare profondamente la natura, la struttura organizzativa e gli stessi caratteri di un partito che, pur tra fasi alterne e successivi adattamenti e modificazioni, giunse pressoché inalterato, praticamente sino alla fine.

Cosa rimane oggi dell’insegnamento degasperiano?

Per quelli come me, che si considerano “DC non pentiti”, al di là delle cerimonie celebrative, sentono impellente l’esigenza di un ritorno agli insegnamenti popolari sturziani e degasperiani per superare questa brutta fase di stallo e di mistificante trasformismo  della politica italiana.

Ecco perché sono impegnato in prima persona, con altri autorevoli amici  a concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano,  nella quale far confluire in rete tutte le associazioni e gli italiani che si riconoscono nei valori del PPE e intendono declinarli secondo gli insegnamenti delle encicliche “Caritas in veritate” e “ Evangelii Gaudium”.

Si tratta di attualizzare il pensiero sturziano e degasperiano non come operazione nostalgica e rievocativa, ma come recupero della nostra migliore tradizione passata, inverarla nel presente e concorrere con quanti sono interessati a costruire una prospettiva politica futura, in grado di uscire dai limiti di questa lunga stagione di transizione, subentrata dopo la fine della cosiddetta Prima Repubblica: questo l’ambizioso obiettivo che ci si propone.

In sintesi si tratta di:

1) trarre ispirazione dalla dottrina sociale della Chiesa: sussidiarietà e solidarietà stelle polari dell’iniziativa politica dei cattolici insieme alla difesa strenua dei “valori non negoziabili”: difesa vita umana dalla nascita alla morte; valore della famiglia fondata sull’unione di un uomo e di una donna; difesa della libertà di educazione;

2)  concorrere alla ricostruzione dell’unità culturale e politica dei o di cattolici essendo consapevoli che:

–  il mondo cattolico ha una potenza superiore a qualsiasi altra presenza culturale, sociale e politica di questo periodo in Italia, anche se non certo a livello massmediatico. Al tempo stesso, tuttavia, essa non è incanalata e compattata in logiche unitarie (De Rita)

–  ci sono tre componenti diverse e per ora non convergenti:

a)  c’è la componente del popolo di Dio che si ritrova nei momenti rituali e comunitari e che solo da poco tempo assume atteggiamento sociali e culturali di stampo extra ecclesiastico;

b) c’è la componente delle grandi organizzazioni di rappresentanza e di azione sociale che avvertono la necessità di rinnovare (quelli degli  incontri di Todi: ACLI-MCL-CISL-CL-CdO-Sant’Egidio sin qui poco costruttivi);

c)  c’è la componente della diaspora della DC con  i diversi rami partitici in cui i cattolici fanno azione politica cercando di collegarsi con la realtà ecclesiale o almeno interpretarne le attese. Ci sono “i cattolici adulti alla Rosy Bindi e Prodi” e i cattolici ubbidienti e non sempre coerenti del centro-destra. Anche all’interno della Chiesa ci sono differenziate sensibilità e competenze non sempre convergenti. Ci sono quelli dei “DC non pentiti” e popolari che lavorano per la ricomposizione dell’area popolare.

d) Ci sono due estremi opposti da evitare: l’appartenenza obbligata in un solo partito come si trattasse di un dogma di fede, impossibile dopo il Concilio Vaticano II  e la diaspora, ossia l’altrettanto dogmatica tesi della negatività di qualsiasi forma di unità e raccordo politico dei cattolici. Il criterio più convincente potrebbe/dovrebbe essere quello dell’”Unità possibile”. Il che significa che: l’unità è fattibile e che la si attuerà secondo il responsabile giudizio prudenziale relativo ai tempi, alle situazioni e alle scelte in gioco.

Si tratta di adoperare, citando Mons Crepaldi, arcivescovo di Trieste, il motto: “ In essentialibus unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas”. Ossia sulle questioni fondamentali ci vuole unità, in quelle dubbie è lecito adoperare il libero giudizio personale, in tutto ci vuole la carità.

Ettore Bonalberti


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