Signore e signori, abbiamo scherzato. Anzi, hanno scherzato. Eh sì, perché al Tesoro non è allo studio alcun taglio del debito pubblico. Questo è quello che è stato fatto trapelare dal ministero dell’Economia retto da Piercarlo Padoan, dopo recenti articoli di stampa in cui si diceva che tra il dicastero di via Venti Settembre e Palazzo Chigi erano allo studio ipotesi su un’operazione sul debito pubblico, per alleggerire a fini pro crescita la zavorra che tra l’altro è costata all’Italia negli ultimi 4 anni circa 300 miliardi di euro secondo l’Istat (tagliare il debito per far lievitare l’Italia, ha sintetizzato Formiche.net qualche giorno fa).
Hanno scherzato, dicevamo. Eh sì. Perché se per il Tesoro operazioni del genere creano più problemi che vantaggi (versione del Sole) e comportano pericoli come quelli evocati un po’ beffardamente dall’ex membro del board della Bce, Lorenzo Bini Smaghi (come sostiene La Stampa), i giornali non hanno inventato alcunché. Si sono infatti limitati non solo a dare voce e spazio a esperti, giuristi ed economisti che consigliano da tempo operazioni del genere (senza patrimoniali, se possibile) ma hanno intervistato esponenti del governo che ne hanno parlato: dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio, al Corriere della Sera (“le ipotesi non sono all’ordine del giorno”, lo gelò Padoan via il Sole 24 Ore), al renziano doc Marco Carrai (presidente degli Aeroporti di Firenze) che su MF/Milano Finanza ha consigliato un Fondo Italia con il patrimonio pubblico per intaccare il debito, fino al sottosegretario alle Riforme, Angelo Rughetti. Ecco in sintesi il piano annunciato da Rughetti al Messaggero: “Credo che una delle priorità che dovremo porci da qui a fine anno sia un’operazione da collegare alla legge di Stabilità che contenga un piano a 20 anni per la riduzione del debito con la creazione di un fondo dove immettere il patrimonio pubblico, mobiliare ed immobiliare, e poi cedere il 49 per cento delle quote del fondo stesso”.
E invece, abbiamo scherzato. Anzi, hanno scherzato. Le ragioni? Sono state sintetizzate da una giornalista esperta del Tesoro e del debito pubblico, Isabella Bufacchi del Sole 24 Ore, qualche giorno fa, sotto forme di “insidie” per operazioni taglia-debito di varia natura: c’è “il pericolo di fare a brandelli la credibilità, lo standing creditizio del Paese, i bilanci delle banche e la fiducia degli investitori”.
E se la fiducia sta già scemando? Il dubbio sorge leggendo sempre il quotidiano di Confindustria che domenica 17 febbraio ha intervistato Francesco Garzarelli, co-responsabile della ricerca macro sui mercati finanziari internazionali di Goldman Sachs. Il titolo era il seguente: “Ecco perché non puntiamo più sui Btp”. Non è abbastanza chiaro? Allora vediamo che cosa dice di preciso. Primo: “L’Italia ha un debito molto alto”. Secondo: “A inizio anno siamo stati molto decisi nel consigliare ai nostri clienti di comprare debito italiano”. Ora no: “Acquistare oggi debito italiano non rappresenta dunque più un investimento dalla sicura convenienza perché i margini di guadagno appaiono limitati”. Ma un aumento dei tassi sarebbe una sciagura, aggiunge l’economista di Goldman Sachs: “Se i tassi torneranno a salire, e in aggiunta l’Italia dovrà pagare con uno Spread maggiore eventuali risultati insoddisfacenti ottenuti sul terreno delle riforme, allora e’ chiaro che gestire l’enorme massa del debito pubblico diventerà sempre più difficile”.
Ma al Tesoro evidentemente sono più tranquilli, o preferiscono non accreditare ipotesi allo studio sul taglia debito, nonostante i vantaggi di una tale operazione siano stato sviscerati con limpidezza da Guido Salerno Aletta. Magari al Tesoro confidano – come fatto balenare in un intervento agostano sul Corriere della Sera dall’ex ministro montiano Enzo Moavero – di poter ottenere una proroga della tagliola prevista sul debito pubblico dal 2016.
Speranza o illusione?