“Sono un giornalista. Ho raccontato gli sgozzamenti pubblici di Al Zawahiri e non sono favorevole alla censura. Non è distruggendo il termometro che abbassi la febbre”. Parla Nicolas Henin, compagno di prigionia di James Foley dal giugno del 2013 ad aprile 2014, dalle pagine di Repubblica, intervistato da Anais Ginori, quasi a mettere fine al dibattito nato in rete e sui giornali rispetto alla censura del video della decapitazione di Foley.
IL RICORDO DI FOLEY
James Foley è stato rapito il Siria nel novembre del 2012, Nicolas Henin circa sei mesi dopo. Hanno passato assieme i successivi nove mesi, condividendo le sofferenze e le atrocità della reclusione forzata nelle mani dell’Isis. “Abbiamo vissuto in condizioni orribili. Cambiavamo spesso nascondiglio, camminando per ore sotto al sole. Ho perso otto chili – ha raccontato Henin a Repubblica – In queste situazioni ti incattivisci eppure Foley era sempre generoso. Se c’era una coperta da dividere, la divideva. Se avevamo poche razioni di cibo, lui si privava per darne un po’ agli altri. Aveva un incredibile spirito di resilienza. In alcuni momenti, siamo riusciti persino a scherzare”.
TORTURE E MALTRATTAMENTI
“Durante i nove mesi di cattività – ricorda Nicolas Henin – ci sono state fasi alterne. Quello che ho subito io è niente rispetto a Foley. I rapitori non lo vedevano più come un uomo, solo come una bestia”. Ma perché l’ostaggio americano è stato trattato molto peggio rispetto agli altri (tantissimi) prigionieri? “Avevano scoperto nel suo computer che il fratello lavorava nell’esercito americano. Era un cittadino statunitense e come tale aveva un trattamento peggiore di noi francesi. Inoltre, è stato uno dei primi occidentali catturati. Quando l’ho conosciuto era già molto provato fisicamente”.
IL VIDEO DELL’ESECUZIONE
Nicolas Henin non è riuscito a vedere il video dell’esecuzione di Foley, “solo qualche estratto” che è stato sufficiente per riconoscerne il coraggio davanti al boia. “Chiunque altro sarebbe stato preso dal panico. Lui non ha neanche cercato di spostare la testa. È morto da uomo, non da ostaggio. Ha riconquistato così la sua libertà”.
Alla domanda se fosse giusto censurarlo, però, ha risposto “Sono un giornalista. Ho raccontato gli sgozzamenti pubblici di Al Zawahiri e non sono favorevole alla censura. Non è distruggendo il termometro che abbassi la febbre. Anzi, temo che oscurare quel video non farebbe altro che rafforzare la propaganda jihadista”.