Va tutto bene madama la marchesa. Gli 80 euro saranno confermati per i prossimi anni, non ci sarà un aumento delle tasse, non ci saranno interventi sulle pensioni e sugli stipendi statali, la revisione del Pil ci farà un po’ sorridere. Che volete di più?
Spargere rassicurazioni è nelle corde del vitalismo caotico di Matteo Renzi. E dopo il lugubre Mario Monti e il malinconico Enrico Letta un po’ di sano ottimismo renziano è utile. Purché non si esageri e non si tenti di dipingere una realtà fasulla.
Ma quello che più preoccupa, oltre agli stretti margini in materia di politica economica che i vincoli della finanza pubblica consentono, è la cacofonia dei messaggi dei ministri. Da un lato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, e poi quello alla Pubblica amministrazione, Angelo Rughetti, enunciano obiettivi e dettagli di un piano taglia debito (per non parlare dei consigli del manager ultra renziano Marco Carrai); dall’altro la smentita del ministero dell’Economia che ripetutamente nega ipotesi di operazioni allo studio. Eppure tagliare il debito serve per far lievitare l’economia, come detto da Formiche.net e spiegato con dovizia di particolari da Guido Salerno Aletta.
Poi, da un lato c’è il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che mette in guardia tutti sulla necessità di un intervento sulle pensioni alte (oltre i 3500 euro?, oltre i 2000 secondo il sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta?, quali saranno i prossimi numeri?) per fronteggiare i costi derivanti da prepensionamenti accelerati in alcuni settori della pubblica amministrazione (intenti criticati sia da Giuliano Cazzola sia da Giuseppe Pennisi su Formiche.net); dall’altro lato sia il viceministro all’Economia, Enrico Morando, sia oggi il sottosegretario Delrio a Repubblica escludono interventi sulle pensioni.
In tutto questo si avverte dalle stanze del governo una certa insofferenza per la flemma istituzionale e poco renziana del titolare del ministero dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che riecheggiano gli sbuffi che si udivano nei governi Berlusconi verso le rigidità dell’ex ministro Giulio Tremonti, che replicava: “La crescita non si fa per decreto”.
Ecco, la crescita non si fa per decreto, ma le prossime scadenze del governo (l’aggiornamento del Def e la Legge di Stabilità) implicano scelte che si possono pure prendere con il sorriso in bocca ma hanno numeri non rottamabili: bisogna trovare – come ha ricordato l’analista Francesco Galietti – circa 17 miliardi l’anno prossimo di tagli alla spesa o alle agevolazioni fiscali (ovvero più imposte) per proseguire nella mortifera austerità (per usare termini alla Gustavo Piga). Per non parlare di una manovra per mettere in carreggiata i conti di quest’anno, nonostante l’ottimismo governativo sulla revisione del Pil che includerà l’economia illegale e il diverso computo delle spese in ricerca.
Il miscuglio tra cacofonie ministeriali e ottimismi un po’ dilettanteschi può soltanto aggravare una situazione che non dovrebbe indurre ad atteggiamenti ridanciani anche in chi non è lugubre o malinconico. Anche perché segni di ravvedimento da parte della Germania non arrivano. Ieri Angela Merkel ha detto in sostanza che la flessione del Pil tedesco è l’effetto di economie flaccide come quelle italiane e francesi. Che c’è dunque da sorridere?