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Vi spiego il peso dell’Egitto nella tregua fra Hamas e Israele

Forse questa è la volta buona! Il conflitto fra Israele e Hamas sembra aver trovato una soluzione. Anche se a tempo indeterminato, non è beninteso una definitiva. Il conflitto era insensato. Non è derivato da una scelta deliberata. Nessuno lo voleva. Non aveva obiettivi realistici. In fatti, per Israele, la minaccia dei razzi lanciati sul suo territorio poteva essere eliminata solo con l’occupazione permanente della Striscia di Gaza, che tutti escludevano. Dal canto suo, Hamas sapeva benissimo di non poter ottenere consistenti concessioni da Israele.

LE CONDIZIONI POLITICHE

Quello concluso al Cairo non è un accordo di pace. Non esistono le condizioni politiche per farlo. Potranno esserci solo con la soluzione dell’intero problema palestinese. Lo status quo è quindi rimasto sostanzialmente inalterato. Molti sia israeliani sia palestinesi sono scettici sul fatto che la tregua possa durare. Potrebbe essere compromessa dal lancio di qualche nuovo razzo e dall’inevitabile rappresaglia dello Stato ebraico. Comunque, meglio che niente!

IL RUOLO DELL’EGITTO

Chi esce bene dalla vicenda è soprattutto l’Egitto. Mi ha sorpreso il fatto che la sua mediazione sia riuscita. Hamas è una branca della Fratellanza Musulmana, che il nuovo regime egiziano ha messo al bando in Egitto. La precedente tregua, quella del 2012, era stata negoziata dal presidente egiziano Morsi, esponente dei Fratelli, ma intenzionato a salvaguardare il Trattato di pace del 1979 con Israele, se non altro per continuare ad avere il sostegno degli USA, Questi ultimi, un po’ (è un eufemismo) frettolosamente, si erano persuasi che la Fratellanza fosse l’espressione politica di un Islam moderato.

LE PRESSIONI SU HAMAS

Di certo, il nuovo governo egiziano ha dovuto effettuare forti pressioni su Hamas. Quali, non si conoscono. Comunque, ce l’ha fatta. Il suo successo va esaminato nel contesto dell’intera situazione mediorientale, che è estremamente dinamica e incerta. I precedenti equilibri non esistono più. Erano basati sulla leadership di Washington. La politica ondivaga di Obama, la creazione del Califfato Islamico e il collasso dello Stato in Iraq, Siria, Libia, Yemen e Libano sta creando una situazione caotica. Non se ne vede via d’uscita. L’Egitto, con la sua solidità politica, la sua influenza culturale e la sua forza militare potrebbe contribuire a trovarla a livello regionale.

IL SUPPORTO LOGISTICO

Un segnale che l’Egitto si stia impegnando è la notizia che Il Cairo ha fornito basi e supporto logistico agli aerei degli Emirati che hanno bombardato a Tripoli le forze islamiste e che stia sostenendo il generale libico Khalifa Haftar, messo a mal partito dagli islamisti in Cirenaica. Come si è argomentato su queste pagine, la situazione caotica esistente in Libia, in preda agli scontri fra bande armate, potrebbe essere risolta solo dall’intervento degli Stati confinanti, in particolare dell’Egitto e dell’Algeria.

UNA POSSIBILE SVOLTA

Il rafforzato prestigio del Cairo potrebbe rappresentare una svolta per la sua leadership dell’intero mondo arabo. L’Egitto ai tempi di Nasser e di Sadat ha esercitato una grande influenza su di esso. Il suo panarabismo è ancora vivo. Il panislamismo della Fratellanza Musulmana e di al-Qaeda (ereditato ora dello Stato Islamico), non sembra avere possibilità di affermarsi. La massa degli Stati arabi, con l’eccezione del Qatar, lo combatte.

IL SOSTEGNO DELLA TURCHIA

Il sostegno che la Turchia dà, in modo alquanto ambiguo, alla Fratellanza Musulmana è in parte neutralizzato dai pesanti ricordi che gli arabi hanno del dominio ottomano. Il peso politico dell’Egitto è poi rafforzato dall’esistenza della Lega Araba, dai finanziamenti delle monarchie del Golfo, dalla politica d’indipendenza seguita da al-Sisi e dall’appoggio che il suo regime riceve sia dall’Occidente che dalla Russia.

L’ACCORDO DEL CAIRO

A quest’ultimo proposito vi è da ricordare il recente accordo che Il Cairo ha concluso con Mosca, sulla fornitura di 3 miliardi di dollari d’armamenti, pagati non a caso dall’Arabia Saudita. L’Egitto, come d’altronde Israele, non è tanto visceralmente nemico del presidente al-Assad, le cui forze stanno dimostrando una certa coesione nel combattere quelle dello Stato islamico. Il sostegno delle truppe governative è necessarie per eliminarne le basi siriane del Califfato. Il Cairo potrebbe mettersi a capo di una coalizione araba per eliminarlo. Lo Stato Islamico non potrà essere distrutto dall’Occidente, indisponibile a intervenire con le indispensabili forze terrestri.

ELEMENTO INDISPENSABILE

Insomma, se l’Occidente volesse sul serio stabilizzare la Libia e intervenire contro il Califfato, l’Egitto diverrebbe indispensabile. Anche la Russia non avrebbe granché da obiettare: migliaia di guerriglieri ceceni combattono con le forze islamiste in Iraq e in Siria.


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