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La privatizzazione di Eni ed Enel sarà nociva. Parla Paolo Pirani (Uil)

Il progetto del governo di collocare in Borsa il 5 per cento di Enel e il 4,3 per cento di Eni detenuto dal Tesoro per un introito complessivo di 5 miliardi di euro potrà contribuire ad alleviare la zavorra soffocante del debito pubblico e attrarre investimenti produttivi nel nostro paese? Formiche.net lo ha chiesto al segretario generale Uiltec Paolo Pirani.

Come valuta il piano dell’esecutivo di alienare quote del Tesoro in Eni ed Enel?

Non è di per sé negativo. Così come non lo è il fatto che possano esservi investitori internazionali interessati all’Italia. Ma è opportuno comprendere il contesto dell’iniziativa. È ovvio che la montagna del debito pubblico spinga il governo ad accelerare un piano di alienazioni pubbliche, dopo aver fatto entrare nelle reti del gas e del trasporto elettrico il colosso cinese State Grid. Ma vi è un’incognita di fondo.

Quale?

L’operazione di vendita rischia di essere nociva per i cittadini, se è finalizzata all’esigenza di far cassa e non è inserita in una politica energetica nazionale. Lo dico alla luce delle strategie portate avanti dagli amministratori delegati delle due aziende. Enel ha comunicato la vendita di una serie di asset industriali nell’Europa orientale. E ha preannunciato una riorganizzazione interna molto dura che esclude lo sviluppo dei comparti ingegneria, costruzioni, ricerca, risorse tecniche. Eni esce dalle crisi degli stabilimenti di raffinazione a Gela e Porto Marghera, e vive in un clima di incertezza riguardo il settore chimico.

Non sarebbe meglio valorizzare le aziende strategiche prima di vendere pacchetti azionari?

Certo. Introdurre ulteriori elementi di privatizzazione senza un’adeguata valorizzazione delle imprese pubbliche presenta molte ombre. Ed è per questa ragione che Matteo Renzi dovrebbe aprire un confronto proficuo con le organizzazioni sindacali sui temi della politica energetica e industriale.

Mettere sul mercato le partecipazioni negli ex colossi industriali può favorire la riduzione del debito pubblico?

Si tratta di iniziative una tantum. Il problema del debito – meglio ancora del rapporto fra debito pubblico e PIL – si risolve se l’Italia riprende a crescere. E in tale ottica si inserisce una politica industriale in grado di rilanciare le aziende strategiche. Altrimenti il rischio è che ancora una volta nell’economia nazionale finiscano per prevalere interessi alieni e contrari a quello generale.

La convince l’intervento di acquisizione monetaria da parte della BCE per sostenere le riforme strutturali nel nostro paese?

Concordo su tale impianto. Non siamo culturalmente ostili ai tagli alla spesa pubblica, su cui restano molti spazi. Ma non è con la flessibilità nel rientro dal passivo di bilancio che risolveremo i nostri problemi. Lo faremo riprendendo a produrre ricchezza.

Nella politica europea aleggia il progetto di Fondo Europeo di Redenzione per condividere e risanare i debiti sovrani tramite Euro Union Bond garantiti dal patrimonio industriale, valutario e fiscale nazionale…

Come grande paese industriale, l’Italia non può permettersi di vendere il porto del Pireo di Atene come ha fatto la Grecia per tentare di risanare i conti pubblici.



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