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Renzi uomo solo al comando. Pregi e difetti spiegati dal prof. Lippolis

Il protagonismo del presidente del Consiglio ha forse raggiunto con Matteo Renzi il suo punto più alto. Vincenzo Lippolis, professore di Diritto comparato all’Università degli studi internazionali di Roma, si inserisce nel dibattito su pregi e difetti dell’“uomo solo al comando” di Palazzo Chigi, ne individua le motivazioni, i rischi e l’unico possibile vero argine: il ministero guidato da Pier Carlo Padoan.

Professore, il protagonismo del presidente del Consiglio è finito recentemente sul banco degli imputati. Fa ripartire il Paese con la sua velocità come pensano alcuni o ne inibisce la democrazia come dicono altri?
In base all’articolo 95 della Costituzione che trova specificazione nell’articolo 5 della legge 400 del 1988, il presidente del Consiglio dirige la politica generale del governo, ne è responsabile, indirizza e promuove l’attività dei suoi ministri. Un suo ruolo attivo è previsto da un punto di vista normativo. E’ quindi categoricamente da escludere qualsiasi accenno a una deriva anti-democratica. Le norme sono comunque interpretate elasticamente, in modo diverso in tempi diversi. Nella Prima Repubblica, i presidenti del Consiglio erano più che altro mediatori tra le fazioni dei partiti, si parlava infatti di “governo per ministeri”.

Oggi non è più così?
Oggi la personalizzazione della politica ha portato un nuovo protagonismo della presidenza del Consiglio che con Renzi forse ha raggiunto il suo acme. Poi tutto dipende anche dal rapporto che si instaura nella coalizione di governo. In questo momento, Renzi appare il protagonista assoluto, anche perché non vedo figure o partiti nella maggioranza che possano frenarne l‘azione. E’ quindi una combinazione data dal quadro normativo e dalla situazione politica a facilitarne il suo protagonismo.

Ci sono dei limiti nell’azione del presidente del Consiglio rispetto a quella dei suoi ministri?
Ogni ministro ha la sua competenza propria ma non va dimenticato che, in base alla normativa vigente, il presidente del Consiglio ha un potere di coordinamento e di controllo verso i suoi ministri. Può per esempio sospenderne l’adozione di provvedimenti e sottoporli al Consiglio dei ministri.

Renzi può quindi liberamente intestarsi la riforma della scuola come sembra stia facendo con il ministro Giannini?
In realtà quella raccontata dai giornali mi è parsa una riunione con esponenti del Pd sull’argomento più che un’estromissione del ministro sulla riforma. Non bisogna dimenticare che Renzi è anche segretario del Pd, ridimensionerei l’episodio.

Anche con i sindacati sembra procedere a muso duro…
Fa bene a non farsi dettare la linea dai sindacati ma non può tagliare completamente i rapporti con i corpi intermedi, va cercata una mediazione.

E sulle presunte frizioni tra Renzi e Padoan cosa pensa?
L’azione del presidente del Consiglio trova il limite più grande nel ministero dell’Economia, nella Ragioneria generale dello Stato che ne condiziona fortemente l’attività, tanto più oggi con i problemi di equilibrio di bilancio dell’Ue. La valutazione delle coperture ai provvedimenti è una competenza che non può prendersi. La riforma dell’istruzione per esempio dovrà passare comunque dalle forche caudine della Ragioneria dello Stato.

Ciò non gli impedisce di fare comunque continui annunci…
Si fanno annunci e prima di vederli realizzati se ne fanno altri, senza verificare la loro realizzabilità. Ciò implica anche una ricaduta a livello sociale perché crea una situazione di incertezza del diritto nelle varie categorie. Alla fine però i conti devono tornare. La legge di stabilità sarà il momento in cui fare il bilancio dell’efficacia dei provvedimenti di Renzi.

Lo stile decisionista del governo si è riscontrato anche in Parlamento con il frequente ricorso alla fiducia e il basso tasso di emendamenti approvati. Un bene o un male?
Le cose vanno valutate meno superficialmente di quanto viene fatto. Bisogna vedere sempre il contenuto degli emendamenti che vengono presentati. Pochi emendamenti incisivi possono cambiare il volto di una legge. Il fatto che se ne presentino migliaia e non vengano accolti non significa che il Parlamento sia ininfluente. Per esempio, sul nuovo Senato, l’impianto originario è stato mantenuto ma in Parlamento sono state approvate delle importanti modifiche che definiscono la riforma. Renzi, come i governi precedenti, prosegue con la tecnica dei maxi-emendamenti e dei voti di fiducia ma è soprattutto il parlamento che deve riflettere. Se vuole fare un dibattito serio, la serietà vorrebbe che venissero presentati pochi e significativi emendamenti. Altrimenti si fa solo ostruzionismo che crea confusione e non piace ai cittadini.


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