Le industrie estrattive riunite in Assomineraria avevano esortato il governo Renzi a colmare il ritardo rispetto ai Paesi balcanici nella ricerca, raffinazione, produzione di gas e petrolio soprattutto nel Mare Adriatico. L’esecutivo sembra avere ascoltato le loro richieste.
Un articolo del decreto legge “Sblocca Italia”, approvato venerdì scorso in Consiglio dei ministri, prevede l’abrogazione della competenza concorrente nel terreno energetico. Restituendo allo Stato la piena sovranità su esplorazione di nuove fonti, oltre che sulla trivellazione, coltivazione e approvvigionamento di idrocarburi. E stabilisce tempi certi – 180 giorni – per le autorizzazioni.
L’iniziativa è salutata come un salto di qualità innovativo dal centro di ricerche Nomisma Energia, il cui presidente, l’economista Davide Tabarelli, è stato interpellato da Formiche.net per approfondire il tema.
Perché è positiva la scelta compiuta dal governo in materia energetica?
Rinunciare a utilizzare risorse nazionali così preziose per l’economia nazionale provoca un danno notevole per uno Stato condizionato da un enorme debito pubblico. L’Italia ha grande necessità di reperire risorse, in forma diversa rispetto a misure di inasprimento fiscale che soffocano il tessuto produttivo. Non è soltanto un’opportunità, è un dovere.
A quanto ammonterebbe il valore economico della ricerca e raffinazione di nuove fonti di riscaldamento?
Le esplorazioni valgono 15 miliardi di euro di nuovi investimenti, che avrebbero riflessi virtuosi sul Prodotto interno lordo. E produrrebbero un gettito per lo Stato di circa 1,5 miliardi tra imposte e royalty per i diritti di estrazione. Cifre che oggi il nostro Paese è costretto a pagare per importare energia dall’estero, visto che siamo fra i maggiori consumatori di petrolio e gas.
Regioni e associazioni ambientaliste non accetteranno di buon grado la decisione di Palazzo Chigi…
Effettivamente i veti opposti dalle realtà locali stanno bloccando le esplorazioni in Sicilia, Basilicata, Puglia, Alto Adriatico. Mentre il loro superamento può comportare il raddoppio della produzione di idrocarburi in Italia. Il contenzioso con le regioni timorose di vedere danneggiata la propria vocazione ambientale si aprirà certamente. Per questa ragione è utile il tentativo di riaffermare il coordinamento statale di un comparto per sua natura nazionale – anzi transazionale – e che mai avrebbe dovuto essere governato dalle regioni. Così come è giusto che il Ministero dell’Ambiente realizzi le valutazioni di impatto ambientale delle attività di esplorazione e raffinazione.
È fiducioso nella volontà e capacità del governo di superare i veti territoriali?
L’esecutivo ha l’obbligo di provarci. E non dubito della sua volontà riformatrice. Ma la capacità di farlo è tutta da dimostrare. Soprattutto nelle realtà del Mezzogiorno in cui sono meno radicati i rapporti con le attività industriali. Fondamentali per creare le infrastrutture necessarie – strade, aeroporti, alberghi – allo stesso turismo. Esattamente come avvenuto in Romagna nell’area di Ravenna. Peraltro vi è un’estrema garanzia di sicurezza per i lavoratori impegnati nelle attività estrattive.
L’iniziativa del governo potrà ridurre la dipendenza energetica del nostro paese dalle turbolenze geo-politiche dell’Europa orientale e del Nord Africa?
Sarebbe un passo rilevante nella giusta direzione anche se la completa autonomia nelle fonti di energia resta un orizzonte utopico. Voglio fornire una cifra emblematica. La produzione nazionale di idrocarburi (gas e petrolio) sta velocemente calando a 12 milioni di tonnellate equivalenti petrolio, mentre noi ne consumiamo 120 milioni tra petrolio e gas.