Promuovere l’utilizzo capillare degli strumenti di pagamento elettronici per recuperare l’evasione fiscale, favorire l’emersione dell’economia in nero, accrescere le entrate tributarie, agevolare la ripresa produttiva. Sono gli auspici conclusivi di uno studio approfondito curato dall’Istituto per la competitività.
La ricerca mette in luce il ritardo e lo stallo politico-legislativo dell’Italia in un terreno strategico per avvicinarla alle realtà più moderne. Formiche.net ne ha parlato con l’economista Stefano da Empoli, presidente di I-Com e docente nell’Università Roma Tre.
Perché la valuta elettronica è preziosa per combattere l’evasione fiscale e far rientrare nella legalità l’economia in nero?
La ragione principale risiede nella tracciabilità delle transazioni che avvengono tramite moneta elettronica. Mezzo che rappresenta un deterrente efficace per rendere legale ogni tipo di scambio di fronte al fisco. A un aumento di 10 milioni di carte di pagamento – inferiore a quello registrato in Italia tra il 2006 e il 2011 – è associato un calo del 3,6 per cento dell’economia sommersa e un recupero delle risorse sottratte all’Erario per oltre 5 miliardi. Che diventerebbero 7,5 se la loro diffusione raggiungesse 15 milioni di unità.
Tale strumento di acquisto può favorire la crescita del PIL?
Tendenzialmente la moneta elettronica presenta molti vantaggi per consumatori ed esercenti, riducendo i fastidi legati al possesso e alla gestione del contante. Disagi provocati per lo più da ragioni di sicurezza. Così rende più semplici le transazioni economiche. Ne scaturisce un beneficio evidente per le attività produttive. A un milione di carte di pagamento in più è associato un incremento dello 0,65 per cento del PIL. Tradotto vuol dire oltre 10 miliardi di euro.
Come è possibile agevolare il ricorso al pagamento elettronico?
I governi di Argentina e Corea del Sud hanno cercato di incentivare tale strumenti prevedendo vantaggi fiscali per i consumatori e gli esercenti. Sgravi che hanno ampiamente ripagato i costi per Stato grazie all’aumento delle entrate erariali derivanti dal recupero dell’economia sommersa. Nel nostro paese vi sarebbero enormi spazi per promuovere una misura del genere. Specie in una fase di ricerca disperata di fondi che non derivino solo dal taglio della spesa pubblica o dall’innalzamento delle tasse.
Le istituzioni italiane si sono mosse nella direzione giusta?
La delega fiscale approvata dal Parlamento a marzo prevede all’articolo 9 il rafforzamento dei mezzi di pagamento tracciabili, e parla esplicitamente di incentivi all’utilizzo della moneta elettronica, dunque richiamando le esperienze di Argentina e Corea del Sud. Molto più proficue sul piano dell’accettabilità sociale rispetto alle misure per scoraggiare o punire l’utilizzo del contante. L’emanazione dei decreti legislativi ad hoc da parte del governo era attesa per settembre. Per ammissione del vice-ministro dell’Economia Luigi Casero prevale per ora lo stallo.
L’ennesima promessa di Matteo Renzi ancora ferma alle slide…
Evidentemente l’esecutivo non ha riconosciuto a tale provvedimento sufficiente priorità, coinvolto da temi di maggiore impatto mediatico e che riteneva più rilevanti per il risanamento dei conti pubblici o la crescita del Paese. Speriamo che nelle prossime settimane tali interventi escano dal cassetto e il governo provveda. È un modo intelligente per reperire risorse utili a riforme strutturali come il Piano scuola.
È giusto ridurre le commissioni bancarie sulle transazioni con carte elettroniche come propone l’Unione Europea?
Il Regolamento comunitario proposto nel luglio dello scorso anno da Bruxelles, e in fase di approvazione, è orientato in tal senso. La sua filosofia, improntata allo sviluppo del pagamento elettronico, rischia però di spingere le banche che emettono le carte ad aumentare i costi per i consumatori. Con un effetto boomerang già riscontrato in Spagna che adottò nel 2005 una misura analoga. Molto meglio per l’Italia seguire la strada liberale e virtuosa degli incentivi, indipendentemente dall’evoluzione della normativa comunitaria.